Neutralità e non discriminazione, accesso libero, diritto all’oblio… Ecco la “Carta dei diritti in Internet”

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“Quattro passi tra le nuvole”, il film di Blasetti pieno di speranze e di buone intenzioni, sceneggiato da Tellini e Zavattini. Nuvola, cloud: il presente e il futuro della Rete. Di questo parla la redazione conclusiva della “Carta dei diritti in Internet”, presentata ieri alla Camera dei deputati dalla Presidente Boldrini e da Stefano Rodotà coordinatore dei lavori. Iniziati, questi ultimi, proprio un anno fa. Nel frattempo, dopo una bozza iniziale curata da una commissione composta da parlamentari ed esperti, si sono svolte numerose audizioni e sono stati accolti suggerimenti e spunti di associazioni e di singoli. Un bel risultato che, purtroppo, appare un po’ come il film evocato tra le nuvole. Vista l’arretratezza – talvolta persino disarmante – del dibattito pubblico italiano. E considerata la mancanza grave di una politica sull’innovazione: dalle incertezze dell’Agenzia digitale di cui poco si sa a parte i cambiamenti e le dimissioni; al buco nero della banda larga con prossima maglietta nera in Europa; allo stato di confusione che si determina non appena il legislatore tocca il capitolo del Web. Dalle norme sulle intercettazioni alla diffamazione.

Mentre la società digitale è la realtà effettuale, contemporanea, cogente dentro la quale si gioca la partita decisiva della democrazia, le culture politiche prevalenti intendono Internet più come una interessante appendice dell’editoria e dei contenuti analogici, che come il normale e doveroso luogo dove ogni cosa inizia e finisce. Almeno per un lungo ciclo tecnologico, in attesa della rivoluzione dei computer “quantici”. Ma chissà. Ora il nomos politico di questo dovrebbe occuparsi, non ogni tanto, bensì nella quotidianità. Ecco, allora, benemerita e illuminata la Carta, il Bill of Rights, frutto ed esito di un impegno decennale. Tutto iniziò, infatti, al “World Summit sulla società dell’informazione” che nel 2005 si tenne a Tunisi. Quanto è curiosa la storia. In quei giorni, ancora lontani dalle tragedie recenti che hanno investito quell’area del mondo, emerse la volontà di immaginare – nella famiglia delle Nazioni Unite – un organismo aperto e partecipativo che si occupasse della dirompente crescita della Rete. Si chiamò “Internet Governance Forum” e tenne la prima riunione l’anno successivo ad Atene. Meditate vertici europei: in Grecia – e non solo nell’antichità – sono state costruite iniziative efficaci e moderne. Infatti, l”IGF” cominciò ad ipotizzare una via di regolamentazione originale, adatta ad un corpo mobile ed in costante evoluzione, cui poco si adatta la normazione tradizionale che, quando diviene legge, è generalmente già vecchia.

Da Atene in poi lo scenario si è ulteriormente evoluto, a cominciare dalla giusta scelta degli Stati Uniti con Obama di aprire e rivedere la società di diritto californiano (ICANN), che ha avuto il potere assoluto sui “domini”, vale a dire il vocabolario delle identità di e in Internet. In pole position il Brasile, grazie alla lungimiranza dell’allora ministro Gilberto Gil, artista applicato felicemente alla politica. E nel 2007 fu firmato un apposito protocollo con l’Italia, curato dal sottosegretario dell’epoca Luigi Vimercati. Sempre il Brasile ha varato il “Marco civil” nel 2014, primo tentativo di dare organicità alla materia. La Carta italiana introduce nella discussione alcuni nodi cruciali: Internet come diritto fondamentale di rango costituzionale; neutralità e non discriminazione della e nella Rete; accesso libero; diritto all’oblio e nuovo approccio al copyright. Non solo. Si tratta di un approccio compiuto, da specificare qua e là, ma vero salto di qualità. Un materiale prezioso, da utilizzare come premessa per il varo di una legge avanzata e coraggiosa. Come il “Marco civil”. Pare riduttiva, infatti, la scelta di limitarsi ad una mozione parlamentare, pur netta e condivisa, in vista di appuntamenti delicati come il prossimo “IGF” di novembre – non per caso in Brasile – e l’assemblea generale dell’ONU. Perché non una legge, allora? Che metta fine alle chiacchiere surreali, tese a porre limitazioni, a introdurre censure e bavagli. Grida manzoniane che hanno, però, contribuito a cacciare l’Italia al settantatreesimo posto nella classifica mondiale sulla libertà di informazione. Andiamo finalmente sulle nuvole-cloud. Una fiammella di speranza, in un quadro della comunicazione che più arretrato non si può.


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