La “Pax televisiva” che danneggia la Rai e favorisce SKY e Mediaset

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Sky Italia si espande, diventando proprietaria anche di un terzo canale digitale terrestre, agognato da più network, il numero 8, oggi MTV, canale un tempo musical-giovanilista posseduto dalla Viacom. Con gli altri 2 canali terrestri-digitali, il 26 (“Cielo”, con serial e telefilm) e il 28 (SKY TG24), Murdoch avrà in pratica 3 canali più o meno generalisti come la RAI e Mediaset. In più, resta il colosso monopolista nella TV Satellitare a pagamento: unica anomalia del settore nel mondo capitalistico, occidentale e liberista, soprattutto dentro i confini dell’Unione Europea, stranamente così distratta in questo caso dalle concentrazioni e dalle direttive antitrust.

Nella guerra multimilionaria per l’acquisto dei diritti sportivi, specie del calcio, ultimamente è uscito vincitore il gruppo di Berlusconi a svantaggio di SKY (che resta monopolista per quasi tutti gli altri sport “remunerativi” e i grandi appuntamenti europei, mondiali e olimpionici), anche se l’esborso, 700 milioni di euro, ha creato non pochi problemi a Mediaset e alla sua controllante Fininvest. Il gruppo del biscione per cercare di rientrare nei costi ha dovuto fare un’opera di disinvestimento, da EITowers a Mediolanum al programma di prepensionamenti anticipati tra giornalisti e personale amministrativo. Non solo, ma alcuni incontri ravvicinati tra le famiglie Murdoch e Berlusconi, lasciano intendere che alla fine si potrebbe trovare un accordo per la trasmissione delle partite di Campionato e quelle di Champions League, in modo da far rientrare Mediaset nell’esborso, anche perché il suo digitale a pagamento Premium non va tanto bene e con i soli suoi abbonati non coprirebbe le spese.

Assistiamo, dunque, ad un “Pax televisiva”, con la benedizione del governo Renzi e delle Autorità di controllo, tra i due grandi tycoon privati, proprio nel settore della TV a pagamento e dell’entertainment, digitale-terrestre, satellitare e generalista, a scapito del Servizio pubblico RAI, al quale è interdetto in pratica la gestione di canali “premium”, ovvero con schede a pagamento, oltre ad avere insieme ad altri privati una propria piattaforma satellitare, come avviene nel resto d’Europa (la BBC britannica insegna!).

Per la RAI, poi, ci si avvia verso un autunno denso di nubi, con la riforma renziana sempre più occulta ed avvolta nel “porto delle nebbie” di Palazzo Chigi e dintorni; con tutt’al più la nomina dei vertici scaduti, secondo la tanto vituperata legge Gasparri inzuppata di “conflitti di interessi” non solo berlusconiani. La RAI ormai naviga in acque turbolenti tra raccolta pubblicitaria che non decolla, un canone sempre più evaso e legato alle bizzarrie delle decisioni governative, senza nemmeno un adeguamento dell’inflazione programmata annuale, con un “parco tecnologico” ancora legato all’era pre-digitale. Soprattutto con un’organizzazione elefantiaca, buricrtica e costosa, basata sulla “Tripartizione” degli anni Settanta, sulle dispendiose sedi regionali, sull’assurda divisione in testate e reti, quando i prodotti informativi sono invece sempre più misti, sull’etero-direzionalità delle scelte editoriali a favore di 4/5 grandi gruppi che hanno in mano appalti e “farm ideativo-produttive” di programmi, eventi, format, serial ed infotainment. Una RAI messa in ginocchio proprio dal governo Renzi, con l’esproprio del “prelievo forzoso” di 150 milioni di euro per foraggiare il Fondo degli 80 euro mensili (mentre lo Stato secondo le stime di Articlolo21 e di autorevoli esperti sarebbe moroso dal 2005 per ben 2 miliardi di euro) e la privatizzazione-quotazione in Borsa del “gioiello di famiglia”, RAIWay, detentrice dei ponti di trasmissione, l’ultimo grande business per le società di TLC, dei Network privati e degli Over The Top, i big che controllano Internet.

Probabilmente ad uno straccio di riforma della RAI il governo Renzi ci arriverà pure, ma come in passato “fotografando” gli equilibri attuali sul mercato, che parlano uno strano slang ambrosian-londinese.

Con SKY Italia, sempre più leader del satellitare ed in prima fila nel progetto di omologazione dell’offerta televisiva generalista, Mediaset, probabilmente soccorsa da qualche “cavaliere bianco arabo”, che controllerà il mercato italiano dell’immaginario (TV, cinema, pubblicità, produzione, distribuzione e diffusione di film, serial e format), e il patto di “non belligeranza” se non addirittura di mutuo scambio tra i due colossi privati, la RAI, riformata o meno, con il canone in bolletta elettrica o nella dichiarazione dei redditi, vivrà miseramente, ridotta ai minimi termini nel personale lavorativo, come sta già accadendo agli analoghi servizi pubblici dei paesi dell’Est Europa e come sta per avvenire in Spagna e in Francia.

Addio così, entro due o tre anni, alla “RAI, di tutto, di più”! Addio ad un diritto fondamentale, che vuole sia difeso e sviluppato il pluralismo informativo e culturale, come sentenziato dall’Articolo 21 della Costituzione. Soprattutto, addio alla libertà dell’immaginario e dell’informazione per tutti, specie per i meno abbienti, i più deboli, gli “oscurati”, coloro che non hanno i mezzi per far sentire la propria voce alla società intera.


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