Milano vicino all’Europa. Caffè

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Milano mia, portami via. Per un giorno, in piazza con il sindaco, in strada a pulire, i milanesi hanno regalato a Vecchioni le sue “Luci a San Siro”. Trovo molto bello, utile, portatore di speranza, questo riunirsi intorno alla città ferita. Milano, sguardo maligno di Dio, diceva Dalla, e Gaber cantava la Porta Romana o il Giambellino d’un tempo. Ventimila, Miracolo a Milano. Erano la maggioranza silenziosa che sfilò contro il maggio francese, come scrive Stefano Folli? O ha ragione Mario Calabresi, che fa la sintesi con i comizi del Premier ed esulta per la “rivincita del paese del sì”. Può darsi che ci sia anche questo, ma il sentimento che leggo in quel “Nessuno tocchi Milano” è più sfumato e complesso. Non ho visto la Milano da bere e neppure la Milano del fouera de ball. Più che dire sì, m’è parso che i milanesi chiedessero qualche no, ma sobrio e intelligente. Ha ragione Magris: “La violenza  è un appetito che vien mangiando, che si accende perché può infuriare impunemente. Dare una spranga in testa al prossimo non è un bisogno umano, come la fame o il sesso; è un prodotto artificiale”. La violenza la si è lasciata crescere anche per via del senso di colpa – giustificatissimo dopo il G8 di Genova. E poi “viene il sospetto – ancora Magris – che in Italia qualcuno si rallegri del polverone, magari sanguinoso, che svia l’attenzione da altri problemi”. 

 

Troppo tardi, troppo poco. Piero Ignazi, su Repubblica, condanna le minoranze Pd: avrebbero dovuto parlar chiaro prima sulle riforme istituzionali ed elettorali. Oggi alle 16 manifesteremo in piazza Montecitorio, ma è tardi. Per la verità qualcuno l’aveva detto l’8 agosto 2014 e ripetuto il 27 gennaio 2015, che una riforma così non c’era né sarebbe passata in nessuna democrazia liberale. Ma “senatori che scaldano la poltrona”, “gerarchia dei Min”, “non lascio il paese in mano a Mineo” (sic!), battute, e tutti avevano riso. Ora molti hanno aperto gli occh e gli autori di questo scempio si arrampicano sugli specchi. D’Alimonte dice alla Stampa che i sistemi maggioritari di Francia e Inghilterra possono premiare una minoranza ancor più dell’Italicum. Lì, però, i deputati si eleggono nel collegio e gli elettori determinano la scelta, da noi saremo chiamati a investire un Capo Supremo.  C’è “l’elezione diretta del premier, de facto”, ammette l’ideologo, ma la forma del governo resta parlamentare, così, in teoria, la Camera dei nominati potrebbe sfiduciare il Premier. Molto in teoria.

Senza ddl scuola, 100mila a rischio (Repubblica). Il nuovo potere ragiona così. Non voti la delega al governo? Non avrai i 100mila assunti delle graduatorie a esaurimento. Un invito alla guerra tra i precari e un avvertimento a Cgil, Cisl, Uil domani manifestano a Roma. “La riforma privilegia i più ricchi e divide i precari”, dice Susanna Camusso. “Emerge una scuola che non ha più una funzione di carattere generale”, “elitaria, senza diritto allo studio” e che “lede la libertà d’insegnamento”. Ma Nando Pagnoncelli, Corriere, certifica che il 72% degli italiani non conosce nel merito la riforma. Così l’81% si dice favorevole all’assunzione dei precari (di quei precari o di tutti i precari?) e il 56% non si  oppone agli “ampi poteri previsti per presidi e direttori scolastici per ridurre le lungaggini burocratiche”.

Ecco il nodo, il Premier-Segretario usa la stanchezza del passato e la sua capacità di spianare gli avversari, per imporre riforme senza discuterne il merito. Se la sinistra, tutta, non saprà opporsi a questo disegno autoritario (ma anche povero e velleitario), e non saprà informarne i cittadini, allora sarà complice. Il ritardo non è un alibi.

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