Il triangolo Letta, Prodi, Renzi e il conflitto sulle riforme. Intanto, crescono disagio e conflitto sociale

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Ha ragione Enrico Letta quando sostiene, con molta convinzione, che votare una legge a maggioranza è una sconfitta e avvicina la scelta di Renzi del 2015 alla iniziativa politica di Berlusconi del 2005. Nella puntata di domenica 3 maggio di In mezzora, tallonato da Lucia Annunziata, che pure legge alcuni passaggi del suo ultimo libro, Enrico Letta, ex vicesegretario del Pd di Bersani ed ex premier, oggi “finalmente libero di parlare e di assumere posizioni autonome”, non risparmia critiche di metodo e di merito nei confronti dell’Italicum e della decisione di votarlo solo con la maggioranza che sostiene il governo. Intanto, dice Letta, nel metodo è una sconfitta, “perché sancisce l’idea per la quale ogni maggioranza si fa la sua legge elettorale”, mentre il centrosinistra ha sempre sostenuto che le regole del gioco istituzionale “debbano essere bipartisan e debbano coinvolgere il maggior numero di forze politiche”. Dunque, asserisce con giudizio Letta, se una legge elettorale viene votata dalla sola maggioranza di governo, si tratta di una “forzatura”, simile a quelle già viste in passati momenti della storia d’Italia di questi ultimi venti anni. Liquidato il metodo, Enrico Letta contesta anche il merito dell’Italicum, perché, afferma, “a differenza della legge degasperiana del 1953, che prevedeva il premio di maggioranza solo al partito o alla coalizione che avesse superato il 50% più uno dei consensi, consente a una minoranza di prendere tutto”, accentua i poteri dell’esecutivo, e soprattutto prevede una Camera di nominati nel 60% dei seggi. Per queste ragioni, esposte pubblicamente, Letta non voterà l’Italicum oppure non parteciperà al voto. Anche perché, sia nel libro che a voce, Letta contesta l’ideologia che è alla base della cosiddetta “rottamazione” renziana: “la mia generazione”, dice Letta, “è stata allevata dalle riflessioni di Bobbio su destra e sinistra, che restavano i punti sostanziali di una differenza. Renzi ha introdotto una nuova coppia di opposti, vecchi e giovani, dove i vecchi sbagliano sempre e su tutto”. Naturalmente, Letta contesta anche questa visione del mondo renziana. Ci sentiamo di dire che siamo d’accordo con lui, ma osserviamo sommessamente che tra i 50 firmatari del documento di critica al governo ma di appoggio all’Italicum figurano alcuni dei suoi. Ci sarà una fronda nella fronda della minoranza? Staremo a vedere quel che accadrà lunedì sera.

Dal canto suo, Romano Prodi dice pubblicamente la sua in televisione, nel programma domenicale di Fabio Fazio. E qualche sassolino dalle scarpe se lo toglie, anche con gusto. Al di là dei salamelecchi di maniera e di rito, nei confronti di Renzi, Romano Prodi sfodera lo stiletto, come da sempre è suo stile, in una sola battuta: “Mancai di decisionismo?”, racconta il professore a Fazio, “No, penso che prima di dire sì o no, bisogna ascoltare tutti, parlare con tutti, e giungere alla tesi più ragionevole e condivisa”. Come accadde con l’Expo, quando nella notte in cui il Consiglio dei ministri presieduto da Prodi decise per la candidatura di Milano, nonostante fosse guidata dal centrodestra della signora Moratti, vinse la tesi dell’unità nazionale, piuttosto che il vantaggio di una parte. Può anche essere che tra Renzi e Prodi sia scoppiata una pace diplomatica, ma il professore lancia con chiarezza le sue critiche pubbliche alle politiche di Renzi. In realtà, le uscite pubbliche di Letta e Prodi, apparantemente per presentare le loro ultime fatiche editoriali, sono molto coerenti con un disagio che appare molto diffuso in certo mondo cattolico, all’inizio sedotto da Matteo Renzi, e dal suo geniale scoutismo in politica, ora però sempre più scettico e critico. Prima ancora che andassero in onda Letta e Prodi, dai pulpiti di molte chiese italiane si levava il grido di dolore di una Ecclesia comunitaria, guidata da papa Francesco, che vive il contrasto stridente tra la necessaria solidarietà verso i poveri e i derelitti di ogni parte del mondo, sempre più numerosi, e la “fuffa” retorica delle grandi abbuffate, non solo mediatiche, del potere, in molti casi, cattolico. Per questa ragione, e la coincidenza è sfuggita a tanti commentatori, proprio mentre si accendeva l’avanzata critica di Letta e Prodi nei confronti di Renzi, papa Francesco auspicava una nuova qualità nell’impegno dei cattolici in politica, da una parte, e sollevava una grande questione epocale, quale è l’ingiustizia salariale vissuta dalle donne che lavorano. È come se la Chiesa militante si fosse accorta della stridente ipocrisia di certi ambienti del potere cattolico e avesse deciso di denunciarla nelle tante omelie domenicali. Perché? Perché la liturgia della Parola in queste settimane è tutta rivolta al racconto di come il primo cristianesimo si fosse organizzato in maniera solidale, e perché l’obiettivo di questo papa è quello di portare il destino di miliardi di esseri umani fuori dalla “globalizzazione dell’indifferenza”.

Dinanzi a tutte queste critiche, il premier Renzi continua a ostentare sicurezza. Come se l’intera politica italiana, ed Europea, fosse una sfida contro di lui, o a suo favore. O meglio, la rappresentazione di Renzi sui media è testardamente questa. Si accende un movimento critico verso l’Expo milanese? “Teppistelli, figli di papà”. Alla chiusura della festa nazionale dell’Unità straordinaria di Bologna, per la prima volta nella storia, si chiudono i cancelli per timore di una contestazione a Renzi, il quale risponde, a docenti, precari e studenti: “Non ho paura. Cambierò l’Italia”. È la dimostrazione di un ego renziano straripante, come se ogni cosa facesse riferimento a lui. E blocca qualunque tentativo di dialogo. Lo dice la stessa parola, dia-leghestai, in greco, per parlare e intendersi bisogna essere in due. Se Renzi continua a pensare, in modo adolescenziale, che il mondo è con lui o contro di lui, sbaglia due volte.

Un’ultima chicca renziana. Sembra che alla Festa nazionale dell’Unità straordinaria di Bologna, Renzi abbia discusso del futuro del giornale fondato da Gramsci nel 1924 con Gianni Cuperlo. Lo rivela Mario Lavia, ex vicedirettore di Europa, in un articolo pubblicato dall’Huffington Post Italia. Se ciò fosse vero, sarebbe la dimostrazione plastica di quanto dicevamo a proposito delle tendenze neoautoritarie di Renzi: del destino di un giornale, importante come l’Unità, innanzitutto si parla con chi ci lavora, i giornalisti, gli amministrativi, i tecnici; poi, si illustra un piano di rilancio; e poi eventualmente ci si dedica alle “pazzie”, come sostiene Renzi secondo Lavia.

Pino Salerno

da jobsnews.it


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