Non spegnere la voce di “Sosta Forzata”

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Da undici anni dà voce al mondo del carcere. Per undici anni ha rappresentato un ponte tra il mondo prigioniero e il mondo libero. Ora però Sosta forzata, il giornale della Casa circondariale di Piacenza, dovrà chiudere.
Niente problemi economici dietro la decisione e neanche una decisione editorial-strategica dell’editore. A decretare la fine di una delle testate storiche  del carcere è la direzione dell’istituto di pena: la redazione è sciolta, gli incontri non si possono più svolgere, l’attività è sospesa. Fine delle riunioni di redazione per impostare il giornale, per discutere ragionare sul mondo del carcere, sul senso della pena, sul reinserimento, per leggere insieme le domande, le critiche, le esigenze dei lettori. Quel dialogo tra il “dentro” e il “fuori” che è  stato costruito faticosamente e tenacemente dalla direttora Carla Chiappini e dai redattori galeotti si interrompe. Le pagine di Sosta forzata allegate al giornale diocesano “Il Nuovo Giornale” resteranno bianche. Niente discussione tra gli ospiti della Casa circondariale e i cittadini del territorio; niente più incontri e confronti anche accesi tra i due punti di vista.
Sosta forza non è  solo uno strumento per dare voce a una delle tante periferie del nostro mondo, non solo uno  strumento di informazione. Sosta forzata è anche uno spazio di riflessione all’interno del mondo prigioniero, dove prendere coscienza delle responsabilità di ognuno. Un luogo dove i propri diritti si confrontano con quelli degli altri, dove le proprie certezze vengono messe in discussione, dove insomma il muro invalicabile della prigione si fa più sottile e si trasforma in dialogo e confronto costruttivo. Insomma, per usare un linguaggio delle istituzioni penitenziarie, Sosta forzata era – ma preferisco dire ancora è – un prezioso strumento per favorire quel cambiamento necessario al reinserimento sociale delle persone detenute. Ed è anche uno strumento di cambiamento culturale del mondo esterno.
Tutto questo finisce. Nonostante le proteste anche di tanti lettori. Nel mondo prigioniero funziona così. Non sempre arrivano i perché. Si chiude e basta. Poco importa o forse proprio perché – come scrive Ristretti orizzonti “Un carcere dove volontari e detenuti fanno informazione ha molte probabilità di diventare un carcere trasparente”.
La difesa di Sosta forzata è dunque una battaglia in difesa della libertà di stampa, ma anche una battaglia di civiltà.
Allora le associazioni che operano in carcere insieme alla Federazione nazionale della Stampa, all’Assostampa dell’Emilia Romagna e adesso anche ad Articolo 21 chiedono alla direzione del carcere di ripensarci. Di non spegnere la voce di Sosta Forzata. Di dimostrare con i fatti che anche loro credono che “le pene devono tendere alla rieducazione del condannato” e che la libertà è un bene prezioso, anche quella di informare, anche per chi sta scontando una pena.


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