Le frasi cretine sul suicidio di un detenuto e il messaggio del Presidente Napolitano. Quattro sogni (destinati a restare tali?)  

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Leggo i commenti (tutti giusti, tutti puntuali, tutti condivisibili) a quelle che vengono definite “frasi choc” apparse su un sito web di un sindacato di agenti di polizia penitenziaria di cui pochissimi o nessuno fino a ieri conosceva l’esistenza, a commento della notizia del suicidio di un detenuto romeno (“Si è ucciso? Bene, uno di meno”). Frasi imbecilli scritte da cretini, di quelle che si possono sentire, purtroppo, salendo su un autobus o al mercato. Perché almeno, una volta, il cretino aveva pudore e cura di tenerla un po’ occultata, la sua cretinaggine. Oggi, al contrario, la palesa, compiaciuto e tronfio. Poi ci sono i Matteo Salvini, che non giustifica, ma capisce. Gli si può credere a metà, e neppure tanto.

Hanno ragione, Luigi Capece (“Il Garantista”), e Massimo Gramellini (“La Stampa”); Luigi Pagano (intervista a “Repubblica”) e Michele Serra (“Repubblica”), Luigi Manconi e il ministro della Giustizia Andrea Orlando. Quei commenti sono una vergogna per tutti gli agenti della polizia penitenziaria; “agenti di custodia che tradiscono non solo la propria uniforme, ma anche quel poco o quel tanto di civiltà che resta in quel deposito di carne umana che sono le carceri italiane”; “barbarie”, “inqualificabili comportamenti”, “episodio intollerabile”. Tutto giusto, puntuale, condivisibile.

Si può poi aggiungere, mutuando un detto popolare, che si raccoglie quello che si è seminato?

L’8 ottobre 2013 l’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, per la prima e unica volta nei suoi nove anni al Quirinale invia un messaggio alle Camere. Al centro la questione della giustizia e delle carceri. Un messaggio solenne, di quelli previsti dalla Costituzione, un testo di alta politica, quella merce rarissima in Italia, che si occupa e preoccupa di “governare” gli avvenimenti e le cose. Un prezioso documento con analisi, proposte, indicazioni di lavoro. Quel documento, inviato al Parlamento è stato considerato, letteralmente, carta straccia. Il presidente del Senato, la presidente della Camera, i capigruppo avrebbero avuto l’obbligo di dibattere quel documento, di avviare un confronto, magari di respingerlo in toto o in parte. Invece, nulla; come se non fosse stato mandato. Non un parlamentare su quasi mille che sono che abbia alzato la mano in apertura di seduta, per porre la questione e chiedere spiegazione di questo comportamento. Non un giurista che abbia fatto presente e commentato quanto accaduto. Non un giornale che abbia pubblicato il testo del messaggio presidenziale. No, non è vero, qualcuno c’è stato: i radicali che hanno assunto quel documento come loro programma politico per le settimane a venire; e Marco Pannella che dalla “Radio Radicale” non si stanca di sottolineare e rimarcare l’importanza di quel testo. Che nessuno ha pubblicato, su cui nessun confronto è stato avviato; di cui nessuno degli innumerevoli talk show e programmi di approfondimento si è occupato. Vogliamo vederlo, quel testo?

“Se mi sono risolto a ricorrere ora alla facoltà di cui al secondo comma dell’articolo 87 della Carta, è per porre a voi con la massima determinazione e concretezza una questione scottante, da affrontare in tempi stretti nei suoi termini specifici e nella sua più complessiva valenza”, scrive Napolitano. “Parlo della drammatica questione carceraria…l’Italia viene a porsi in una condizione che ho già definito umiliante sul piano internazionale per le tantissime violazioni di quel divieto di trattamenti inumani e degradanti nei confronti dei detenuti che la Convenzione europea colloca accanto allo stesso diritto alla vita. E tale violazione dei diritti umani va ad aggiungersi, nella sua estrema gravità, a quelle, anche esse numerose, concernenti la durata non ragionevole dei processi…

…Sottopongo dunque all’attenzione del Parlamento l’inderogabile necessità di porre fine, senza indugio, a uno stato di cose che ci rende tutti corresponsabili delle violazioni contestate all’Italia dalla Corte di Strasburgo: esse si configurano, non possiamo ignorarlo, come inammissibile allontanamento dai principi e dall’ordinamento su cui si fonda quell’integrazione europea cui il nostro paese ha legato i suoi destini.

Ma si deve aggiungere che la stringente necessità di cambiare profondamente la condizione delle carceri in Italia costituisce non solo un imperativo giuridico e politico, bensì in pari tempo un imperativo morale. Le istituzioni e la nostra opinione pubblica non possono e non devono scivolare nell’insensibilità e nell’indifferenza, convivendo – senza impegnarsi e riuscire a modificarla – con una realtà di degrado civile e di sofferenza umana come quella che subiscono decine di migliaia di uomini e donne reclusi negli istituti penitenziari. Il principio che ho poc’anzi qualificato come “dovere costituzionale”, non può che trarre forza da una drammatica motivazione umana e morale ispirata anche a fondamentali principi cristiani…

E vengo ai rimedi prospettati o già in atto. Per risolvere la questione del sovraffollamento, si possono ipotizzare diverse strade, da percorrere congiuntamente.

  1. A) RIDURRE IL NUMERO COMPLESSIVO DEI DETENUTI, ATTRAVERSO INNOVAZIONI DI CARATTERE STRUTTURALE QUALI:

1) l’introduzione di meccanismi di probation. A tale riguardo, il disegno di legge delega approvato dalla Camera e ora all’esame del Senato, prevede, per taluni reati e in caso di assenza di pericolosità sociale, la possibilità per il giudice di applicare direttamente la “messa alla prova” come pena principale. In tal modo il condannato eviterà l’ingresso in carcere venendo, da subito, assegnato a un percorso di reinserimento;

2) la previsione di pene limitative della libertà personale, ma “non carcerarie”. Anche su questo profilo incide il disegno di legge ora citato, che intende introdurre la pena – irrogabile direttamente dal giudice con la sentenza di condanna – della “reclusione presso il domicilio”;

3) la riduzione dell’area applicativa della custodia cautelare in carcere. A tale proposito, dai dati del DAP risulta che, sul totale dei detenuti, quelli “in attesa di primo giudizio” sono circa il 19%; quelli condannati in primo e secondo grado complessivamente anch’essi circa il 19%; il restante 62% sono “definitivi” cioè raggiunti da una condanna irrevocabile. Nella condivisibile ottica di ridurre l’ambito applicativo della custodia carceraria è già intervenuta la legge n. 94 del 2013, di conversione del decreto legge n. 78 del 2013, che ha modificato l’articolo 280 del codice di procedura penale, elevando da quattro a cinque anni di reclusione il limite di pena che può giustificare l’applicazione della custodia in carcere;

4) l’accrescimento dello sforzo diretto a far sì che i detenuti stranieri possano espiare la pena inflitta in Italia nei loro Paesi di origine…

5) l’attenuazione degli effetti della recidiva quale presupposto ostativo per l’ammissione dei condannati alle misure alternative alla detenzione carceraria; in tal senso un primo passo è stato compiuto a seguito dell’approvazione della citata legge n. 94 del 2013, che ha anche introdotto modifiche all’istituto della liberazione anticipata. Esse consentono di detrarre dalla pena da espiare i periodi di “buona condotta” riferibili al tempo trascorso in “custodia cautelare”, aumentando così le possibilità di accesso ai benefici penitenziari;

6) infine, una incisiva depenalizzazione dei reati, per i quali la previsione di una sanzione diversa da quella penale può avere una efficacia di prevenzione generale non minore…

Tutti i provvedimenti, di cui ritengo auspicabile la rapida definizione, appaiono parziali, in quanto inciderebbero verosimilmente pro futuro e non consentirebbero di raggiungere nei tempi dovuti il traguardo tassativamente prescritto dalla Corte europea. Ritengo perciò necessario intervenire nell’immediato con il ricorso a “rimedi straordinari”.

  1. C) CONSIDERARE L’ESIGENZA DI RIMEDI STRAORDINARI

La prima misura su cui intendo richiamare l’attenzione del Parlamento è l’indulto, che – non incidendo sul reato, ma comportando solo l’estinzione di una parte della pena detentiva…Ritengo necessario che – onde evitare il pericolo di una rilevante percentuale di ricaduta nel delitto da parte di condannati scarcerati per l’indulto, come risulta essere avvenuto in occasione della legge n. 241 del 2006 – il provvedimento di clemenza sia accompagnato da idonee misure, soprattutto amministrative, finalizzate all’effettivo reinserimento delle persone scarcerate, che dovrebbero essere concretamente accompagnate nel percorso di risocializzazione. Al provvedimento di indulto, potrebbe aggiungersi una amnistia…

Ritengo che ora, di fronte a precisi obblighi di natura costituzionale e all’imperativo – morale e giuridico – di assicurare un “civile stato di governo della realtà carceraria”, sia giunto il momento di riconsiderare le perplessità relative all’adozione di atti di clemenza generale…

A ciò dovrebbe accompagnarsi l’impegno del Parlamento e del Governo a perseguire vere e proprie riforme strutturali – oltre le innovazioni urgenti già indicate in questo messaggio – al fine di evitare che si rinnovi il fenomeno del “sovraffollamento carcerario”. Il che mette in luce la connessione profonda tra il considerare e affrontare tale fenomeno e il mettere mano a un’opera, da lungo tempo matura e attesa, di rinnovamento dell’Amministrazione della giustizia. La connessione più evidente è quella tra irragionevole lunghezza dei tempi dei processi ed effetti di congestione e ingovernabilità delle carceri…confido che vorrete intendere le ragioni per cui mi sono rivolto a voi attraverso un formale messaggio al Parlamento e la natura delle questioni che l’Italia ha l’obbligo di affrontare per imperativi pronunciamenti europei. Si tratta di questioni e ragioni che attengono a quei livelli di civiltà e dignità che il nostro paese non può lasciar compromettere da ingiustificabili distorsioni e omissioni della politica carceraria e della politica per la giustizia”.
Il Parlamento come (non) sappiamo, ha risposto con gelida indifferenza, con offensiva volontà di non fare.

Un sogno: che il presidente Sergio Mattarella riprenda il messaggio del presidente emerito Napolitano e lo faccia suo, inviandolo nuovamente al Parlamento.

Secondo sogno: che i parlamentari oggi indignati per le frasi choc di alcuni cretini, chiedano ai presidenti del Senato e della Camera, e ai loro capigruppo di discutere e dibattere quel messaggio.

Terzo sogno: che i commentatori indignati e tutti noi si chieda che quel programma politico delineato e descritto in quel documento presidenziale sia attuato; e se lo si respinge perché, e cosa si propone e offre in alternativa.

Quarto sogno: che ai cittadini di questo paese sia consentito di conoscere, sapere, poter valutare.

E’ troppo? Vogliamo provare, almeno, a porci la questione del perché questi sogni sono destinati a restare tali? E se si può fare, e cosa, perché non restino tali? Potrebbe essere la migliore risposta alle corbellerie e alle scempiaggini di quei cretini che non vanno perdonati, anche se non sanno quello che dicono e scrivono.

PS.: dall’inizio dell’anno siamo arrivati a dodici detenuti morti; sei i suicidi.


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