Enzo Baldoni, dieci anni dopo

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Quando arriva agosto, fatalmente si srotola la pellicola di un film che merita ancora di essere raccontato. E’ un fatto pubblico, perché la memoria di Enzo Baldoni appartiene a tutti quelli che lo hanno amato e che tuttora lo amano (la sua immortale “Zonker zone” fatta di balene e di sogni), ma se permettete è anche un fatto privato perché il destino (lo ritengo un privilegio) ha voluto che incrociassi da vicino quell’uomo straordinario nelle ultime settimane della sua vita, proprio fino alla fine. Ricordo la sua genialità, l’educazione, la curiosità, la cocciutaggine anche di un vero cronista che voleva vedere e raccontare quello che gli altri non raccontavano e che, come i grandi maestri del giornalismo, voleva soprattutto capire.

Stava in Iraq per quello: per capire. Certo strano modo per un pubblicitario di successo passare le ferie in quell’inferno ma la spinta emozionale era troppo forte, ma anche nobile, quello che non ha capito qualche sciagurato tratto in inganno da quella maniera di definirsi “turista”. Viaggiava con molta umiltà, era cosciente del suo “dilettantismo”: ne ha parlato e ne ha scritto tante volte. Ma non giocava: il suo approccio era impeccabile, da freelance entusiasta di scoprire altri mondi, quelli difficili (lo aveva già fatto altre volte in altri luoghi).

A dieci anni esatti dalla sua morte, i ricordi personali sono tanti, troppi. Così come i dubbi mai dissipati. Una fiducia mal riposta, la lunga discussione notturna prima del viaggio fatale, tutte le foto che mi ha fatto e che non vedrò mai, l’ordigno a Malmudiya, l’incursione a Najaf, il saluto a Kufa, il sogno di intervistare Moqtada al Sadr. L’arrivederci a Baghdad. L’ho rivisto invece molti anni dopo a Cesi, il suo dolce paesino umbro, chiuso in una bara troppo grande per i suoi poveri resti. Il solito destino non gli ha permesso neppure di esaudire quel desiderio espresso in un testamento che ormai abbiamo imparato a memoria tutti noi che gli abbiamo voluto bene: un funerale festoso, con canti e balli e amori improvvisi, la banda e la porchetta, le parole di lutto tutte bandite. Non è stato possibile perché giocando si definiva immortale, mentre quelle “istruzioni” erano nate proprio nel momento stesso in cui aveva scoperto la paura, come tutti i reporter di razza. Noi, tutti noi, non abbiamo neppure un pizzico della sua genialità che ho scoperto subito quando ci siamo conosciuti al “Palestine” davanti al cratere di una granata che io chiamavo bomba e lui “rosa scarlatta”, traducendo l’orrore in poesia . Così a Cesi ci siamo messi banalmente a piangere, convinti però che su una cosa non ha toppato: vero, è immortale. Sul web continua a vivere perché porto avanti i nostri “blog paralleli” (due modi diversi di vedere la guerra) nati in un lettino d’ospedale dopo il primo viaggio a Najaf e soprattutto grazie all’omaggio e alla commozione della sua banda di amici scapestrati, la Zonker, che non morirà mai, neppure per scherzo.

Un aspetto però è stato esaudito: Enzo si augurava una morte veloce, quasi istantanea. Probabilmente è successo, ucciso molto prima dell’ultimatum. E mi fa molto male pensare in questi giorni a un’ipotesi che ho avuto fin dall’inizio. Ho ripensato alle testimonianze immediate (poi represse) di chi ha visto il filmato e ho presente purtroppo un fermo-immagine drammatico ai lati di quella strada che attraversa il deserto (nascosto in un file che non ho il coraggio di riguardare). Per la prima volta lo dico ma vi prego di escluderlo subito della memoria. Enzo davanti all’esecuzione del fido Ghareeb avrebbe avuto una reazione istintiva, da uomo generoso. E probabilmente ha fatto la stessa fine di James Foley. Almeno ci è stato risparmiato il rito. Dieci anni dopo in Iraq è tornato pesantemente l’inferno. I suoi aguzzini allora si chiamavano “Esercito islamico dell’Iraq” e alla ricerca di un accordo impossibile, cioè la fine delle ostilità, sono stati messi a suo tempo addirittura a libro paga dagli americani. Tutto inutile. Adesso il gruppo dei boia ha cambiato nome, si è allargato, ma il progetto scellerato è identico. Alcune cose sono cambiate, lo annoto frettolosamente perché la questione è molto complessa, ma resta inquietante ad esempio ricordare che prima di produrre in proprio quel filmato fu messo in rete dalla tv del Qatar. Spero, in memoria di Enzo, che certi errori almeno non si ripetano. Mi piacerebbe tanto discuterne con lui, come discutevamo allora. Un giorno lo farò.


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