Con Giacomelli “cambia verso” il ministero delle Comunicazioni

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Speriamo che per Antonello Giacomelli venire dopo Catricalà rappresenti davvero una fortuna. Il nuovo sottosegretario con la delega alle Comunicazioni, infatti, potrebbe da subito dimostrare che con lui la politica del ministero “cambia verso”. Potrebbe – nel giro di pochi giorni – dare soddisfazione a tutti quelli – e sono tanti, perfino a livello europeo – che hanno visto come il fumo negli occhi alcune delle proposte del Contratto di servizio 2013 – 2015 per la Rai. In questo cambio di linea può dargli una mano il relatore, Salvatore Margiotta, che è anche vice presidente della Vigilanza. Margiotta ha già presentato il suo testo, con tutti i suoi emendamenti, due dei quali in particolare sono stati all’origine di forti polemiche con il vice ministro Catricalà: primo, la pretesa di indicare con “un bollino Blu” i programmi della Rai che non sarebbero di servizio pubblico; secondo, togliere l’intrattenimento dai generi che la Rai è obbligata a mettere in palinsesto. Si tratta di una pretesa di cambiamento del Contratto che ha messo in allarme perfino l’Unione europea dei broadcaster pubblici. Se passasse l’idea che non tutti i programmi della Rai sono di servizio pubblico, non solo si aprirebbe per la Rai stessa la possibilità di tradire la sua missione, ma soprattutto verrebbe meno la ragione d’essere della Rai. Togliere poi l’intrattenimento fra i generi di servizio pubblico vuol dire dimenticare i tre doveri tipici di tutti broadcaster pubblici così come ci ha insegnato la Bbcinformare, educare e intrattenere. Insomma per Catricalà “Ballando sotto le stelle” – un programma inventato proprio dalla Bbc – non avrebbe dovuto far parte del patrimonio Rai.

Quello che con grande ritardo si andrà ad approvare nei prossimi giorni è sicuramente l’ultimo Contratto di servizio fra la Rai e il ministero prima del rinnovo della convenzione fra lo Stato e la Rai stessa per la concessione del servizio pubblico, convenzione che scade il 6 maggio 2016. Ma questo Contratto sia pure depurato dalle maniacali pretese di Catricalà è all’altezza della sfida dei prossimi anni? In fondo è questa l’unica seria domanda che oggi un governo dovrebbe farsi. Siamo nel pieno di una rivoluzione tecnologica che si è abbattuta come un tornado su tutto il sistema dei media, dalla carta stampata alla radio alla televisione. Internet, la banda larga, stanno rivoluzionando non solo il trasporto dei contenuti ma il contenuto stesso. E la Rai dal 2016 in poi dovrà immaginarsi non più solo come broadcaster ma come media company.

Siamo a due anni da quel appuntamento e che idee ha il governo, che idee si è fatto sul futuro del servizio pubblico? La Rai così come è oggi va rifondata. Se si vuole salvare l’idea che un servizio pubblico per l’audiovisivo fa parte, a tutti gli effetti, del welfare di un paese moderno va completamente ripensata sia nell’organizzazione interna sia nella struttura e nella ridefinizione della missione per il prossimo decennio. Difficile immaginare il futuro senza intervenire al più presto sulla legge. E qui il nuovo sottosegretario può cercare di ispirarsi a tutto il lavoro preparatorio già fatto dal Pd. Si può ricordare che con il governo Monti il partito democratico chiese di mettere fra le priorità di una legge di riforma della Rai proprio la governance del servizio pubblico. L’obiettivo era di tagliare il cordone ombelicale che fino ad allora aveva legato la Rai alle segreterie dei partiti, facendo della Rai stessa una azienda anomala e ingestibile con criteri manageriali. Il governo Monti non era stato in grado di trovare una soluzione, Berlusconi imperante.

Il governo Letta si è guardato bene dal battere anche un solo colpo in materia. Avrà il governo Renzi più forza, più coraggio, più capacità di vedere in avanti? Fra le idee avanzate dal Pd c’è la divisione fra “Rai operatore di rete” e “Rai fornitore di contenuti”; c’è la riorganizzazione societaria distinguendo una Rai modello Bbc da una Rai modello Channel 4; per il delicato e strategico settore dell’informazione ha ancora senso mantenere tredici testate giornalistiche? Non è forse arrivato il momento di approfittare della rivoluzione digitale per ragionare in termini diversi dal passato? E sul piano del rapporto con i territori non è anche qui arrivato il momento di immaginare televisioni di prossimità capaci di svolgere un servizio pubblico diverso da quello di oggi? E la Rai non potrebbe in questi casi avere un ruolo utile di guida e di appoggio?
Giacomelli ha un vantaggio rispetto ad altri possibili sottosegretari o vice ministri: ha fatto una esperienza in una televisione locale come Canale 10 in Toscana. Dagli uffici del suo ministero scoprirà quello che forse sa già: la realtà italiana è più complicata di quello che si può immaginare. Ma proprio per questo c’è bisogno di “cambiare verso”.

* da “l’Unità”


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