“Oggi il teatro è il mio vero debito con la società”. Intervista a Salvatore Striano, ex detenuto, oggi attore

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Salvatore Striano rappresenta alla perfezione il naufrago shakespeariano perché, nella sua esperienza esistenziale, si può cogliere la dolorosa rinascita di un uomo che attua una metamorfosi attraverso l’arte teatrale che altro non è che l’allegoria della purificazione. Il teatro ha consentito a Salvatore, ex-detenuto, di raggiungere una maggiore consapevolezza in se stesso, di comprendere la gravità degli errori commessi e di trovare il coraggio di rialzarsi incamminandosi a testa alta e a schiena dritta nel più sensazionale viaggio chiamato vita. Durante il periodo di detenzione nel carcere di Rebibbia, Salvatore Striano ha conosciuto la sofferenza, la solitudine, il dolore tuttavia proprio quando credeva di non avere più alcuna speranza di rivalsa ecco che la felicità ha bussato alla sua porta e una grande opportunità si è presentata nel suo destino.
Non è stato lui a scegliere il teatro, ma la drammaturgia lo ha chiamato a sé. Registi, esperti, critici, media hanno notato e apprezzato la bravura di un attore che mai avrebbe pensato di poterlo diventare.
Salvatore Striano è nato e cresciuto nei Quartieri Spagnoli di Napoli, da bambino ha venduto sigarette di contrabbando e poco più che adolescente è caduto nel girone infernale della droga, per poi entrare e uscire dagli istituti penitenziari. Ed è nel “supermercato del crimine”, come lo definisce Salvatore, che il teatro si è presentato come una forma di riscatto contro chi ormai aveva sentenziato per lui un’esistenza senza speranze.
Non è un caso infatti se la sua prima interpretazione lo ha visto calarsi nel ruolo di Ariele nella “Tempesta” di W. Shakespeare. Da allora Salvatore non solo si è appassionato all’arte teatrale, ma è rimasto letteralmente folgorato dal pensiero shakespeariano ecco perché ho deciso di intervistarlo prendendo spunto da alcuni aforismi del grande drammaturgo.

Mi piacerebbe iniziare proprio con Ariele, il personaggio più affascinante dell’opera, il cui nome significa “leone divino”. Metaforicamente parlando ti paragoneresti ad un “leone divino”? Rimanendo sempre su questa grande opera di Shakespeare, di certo la più enigmatica, senti di essere ancora in viaggio oppure credi di essere approdato? Se sì, qual è la tua isola?
Io mi sento ancora in viaggio perché in realtà non intendo arrivare a destinazione. Se lo facessi, sarebbe come se mi fermassi invece mi auguro di viaggiare ancora. Quella che era la mia isola l’ho lasciata alle spalle, ma ai ragazzi che sono ancora costretti a vivere sull’isola dico loro che devono impegnarsi per fare le cose nel migliore dei modi e per far sì che questo accada ci vuole uno sforzo maggiore. Quando però si ottengono degli ottimi risultati, la soddisfazione è senza dubbio maggiore. Ci sono situazioni in cui devo necessariamente sentirmi come un leone come nelle situazioni in cui occorre affrontare i pregiudizi di alcune persone e non sempre è facile.

“Ho superato quelle mura con le ali leggere dell’amore perché non v’è ostacolo di pietra che possa arrestare, il passo dell’amore”.Quando eri in carcere hai mai provato la sensazione di varcare le mura anche solo con la fantasia perché mosso da un sentimento d’amore?
È accaduto tante volte, anche fisicamente nel senso che mi aggrappavo alle sbarre cercando di intravedere cosa ci fosse fuori. Provavo a far uscire tutto l’amore che c’è in me, cercando di liberare i miei pensieri perché stare rinchiusi nelle celle è davvero orrendo. All’interno del carcere è come se si avvertisse la sensazione che esistono due mondi: uno composto dai detenuti e l’altro dalle guardie carcerarie. A volte la situazione diventava insostenibile e non era facile sopportare la solitudine, ma ho scoperto l’amore per il teatro e questa si è rivelata una grande consolazione.

“Dio vi ha dato un viso e voi ne avete creato un altro”.  Hai fede in Dio?
Io credo in Dio, ma non nella Chiesa. Se si potesse chiederei di santificare William Shakespeare, è lui che venererei senza dubbio. Sono convinto che nel mondo ci siano molti più santi di quanti ne siano stati proclamati. Penso alle migliaia di madri che quotidianamente adempiono ai valori della famiglia con ammirevole dedizione, ecco … credo che queste donne potrebbero essere considerate delle sante.

“Rinuncia al tuo potere di attrarmi ed io rinuncerò alla mia volontà di seguirti”. Se avessi iniziato ad apprezzare la letteratura prima che accadessero le disavventure della tua vita, avresti trovato il coraggio di mettere in pratica queste frasi davanti a chi ti esortava a compiere dei crimini o a fare uso di droga?
L’ignoranza ha giocato un ruolo fondamentale nel mio perdermi. Ho seguito strade sbagliate che erano anche le vie più facili da percorrere. Di certo se avessi avuto un supporto culturale non avrei commesso alcuni errori.

“Le belle parole sono migliori dei brutti colpi”. Attraverso il teatro puoi confermare che la violenza serve a ben poco e che l’unica vera arma possibile sia la cultura quindi la parola come strumento di riflessione?
Assolutamente sì. Oggi il teatro è il mio vero debito con la società. Nel corso della mia vita ho avuto a che fare con la legge e non con la giustizia, ma ora so che posso trovarla negli uomini.

“Non c’è nulla di più comune del desiderio di essere importanti”. Cosa significa per te essere importante: diventare una celebrità oppure avere un ruolo decisionale all’interno di un gruppo?
L’importanza è quella che ci dice che stiamo facendo le cose nel migliore dei modi. La celebrità va di pari passo col divismo e io non voglio cadere in questa trappola. Quando si accendono le luci appare tutto bellissimo, ma una volta che i riflettori si spengono entra in gioco la debolezza dell’uomo. Il successo avrebbe potuto destabilizzarmi invece faccio il possibile per vivere questi momenti senza aspettare nient’altro di più di quello che ho.

“Astenetevi dal giudicare perché siamo tutti peccatori”. A chi vorresti urlare questa frase?
Alle Procure perché a volte ho avuto l’impressione che avessero avanzato dei giudizi prima ancora di aver completato la valutazione delle indagini.

“Puoi depormi dalle mie glorie e dal mio stato, ma non dai miei dolori, di quelli io sono ancora il re”. C’è qualcosa che ancora ti tormenta l’anima?
Non aver salutato per l’ultima volta i miei genitori. Quando loro sono morti io ero in carcere e non ho potuto assistere al funerale. In quei momenti ho compreso quanto è brutto essere “dannosi”. Il mio rimorso più grande è quello di avere deluso due genitori meravigliosi. Oggi ogni mio successo lo dedico a loro.

“Le parole sono piene di falsità o di arte, lo sguardo è il linguaggio del cuore”. Tu che sei un attore sai bene quanto lo sguardo sia fondamentale per trasmettere un messaggio. Nelle tue interpretazioni è sempre molto intenso. È questo il tuo più immediato ed efficace strumento di comunicazione?
Lo sguardo è ciò che disegna alla perfezione l’intenzione delle parole. Lo sguardo accompagna il mio parlare, arricchisce il senso di quanto sto per pronunciare.

“L’inferno è vuoto…tutti i diavoli stanno qui”. (tratto da “La tempesta” di W. S.) Tu ti definisci angelo o diavolo?
Io mi sento in transito però mi rifiuto di pensare di essere un diavolo. Fortunatamente ho fallito come delinquente e questo è stato possibile grazie all’arte teatrale. Ora percorro la direzione degli angeli, cerco di bussare alla loro porta perché non è più il tempo dei diavoli.


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