Democrazie e oligarchie, all’Auditorium il dialogo Zagrebelsky-Canfora

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Di Gabriele Santoro

Le oligarchie, in quanto sottrazione del potere ai molti, sono un fenomeno che manda “in corto circuito l’idea di democrazia”, così il giurista ed ex membro della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky introduce l’argomento di dibattito della serata del 18 gennaio all’Auditorium Parco della Musica sul tema “Democrazie e oligarchie”, che ha visto come co-protagonista lo storico Luciano Canfora. Un problema di certe derive risiede nel mascheramento che possono assumere certi regimi, che “si possono instaurare in forme democratiche”, con l’unico vantaggio di “non adottare una violenza esplicita, mantenendo le normali procedure, pur svuotate di contenuto”.

Ai giorni nostri la più stretta connessione del potere è con “il denaro, in un circolo vizioso che si alimenta vicendevolmente”, prosegue Zagrebelsky, che in un parallelo con il passato nota come la politica prima servisse ad altro, fossero anche “guerre di espansione per l’affermazione ed il prestigio nazionale”. Nell’epoca della globalizzazione “il denaro si investe solo per ottenere più soldi, perdendo la funzione classica di motore per lo sviluppo. È strumento di se stesso” nella logica imperante della finanza speculativa. Il risultato della chiusura dei gruppi che detengono le risorse è una “perdita della ricchezza, del lavoro, della legalità perché si passa dall’uguaglianza al privilegio per pochi”.

Gli Stati si stanno privando “della propria sovranità”, ridotti “all’attività esecutiva con scarsa discrezionalità. E se non si possono scegliere i fini la democrazia, il voto popolare, sono d’intralcio”. Si spiegano così, in Italia e non solo, “governi tecnici come quello Monti e l’attuale. Dai tecnici, che siano anche coloro che riparano la televisione, non ci si aspettano cose nuove, solo che il meccanismo venga rimesso in piedi. Le scelte politiche diventano basate sulla base dei dati oggettivi che vengono forniti”.

E parlando di tecnocrazie il discorso non poteva non virare sull’Unione Europea, “creazione partita con determinati propositi ma che ha visto accentuare la sperequazione fra paesi prosperi e sofferenti”, interviene Luciano Canfora. Con un deficit di rappresentanza in un sistema in cui “conosciamo le istituzioni che però sono irraggiungibili perché non ci raggiungono”. Nel prossimo maggio si terranno le elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo, il rischio paradossale è che il distacco porti “all’affermazione di forze anti-europeiste”. La risposta sta nel “riprendere l’idea originaria dell’Unione”, aggiunge Zagrebelsky, “in cui si immaginava che l’integrazione economica avrebbe condotto a quella politica”.

La litania ripetuta come un mantra “ce lo chiede l’Europa” cela “l’idea passiva di tirare a campare, che una soluzione arriverà”. Di fatto la principale conseguenza è il ritorno di “tendenze neo-nazionaliste” esclusive nella tutela dei diritti con la sistemazione di “cannonieri lungo le coste”, a difesa dei confini. Da possibile terza forza alternativa ai blocchi della guerra fredda, l’Europa “sta perdendo quei valori di tradizione costituzionale e di civiltà, come lo stato sociale, in nome di un liberismo sfrenato. Ma l’Ue ha senso solo se si differenzia”.

Le prospettive del cambiamento Troppo spesso si parla di riformare le istituzioni per riavvicinare governanti e governati, “ma sono più importanti le istituzioni o le forze che le governano? Si dà troppa importanza alla Costituzione, ma è meglio avere una Carta mediocre con forze politiche buone, sarebbe quantomeno accettabile. Prima delle modifiche costituzionali serve un sussulto per il rinnovamento, altrimenti non ci saranno effetti. Senza idee anche il conflitto si riduce al mantenimento dell’equilibrio”. Gianfranco Miglio sosteneva che le democrazie durano 50-60 anni, poi viene meno la spinta ideale sostenuta anche dagli interessi materiali e ci si riduce alla sopravvivenza, con l’allontanamento della base dai vertici ed una crescente corruzione. L’antidoto è riproporre ideali vincolanti verso cui si assumano responsabilità.

Le oligarchie nella storia “Nel corso della storia le oligarchie non si autodefiniscono”, spiega Canfora, ma assumono i contorni delle aristocrazie, “il governo dei migliori, di chi può provvedere a tutti perché più competente”. Solitamente interviene la reazione di gruppi esterni, esclusi ma a loro volta escludenti, prima delle masse di schiavi, ora “dei non cittadini venuti da altri mondi”, i migranti, secondo una logica che si ripete. “La realtà non visibile è costituita da oligarchie che dirigono la cosa pubblica e si dislocano per non essere direttamente contestabili. Il problema è strappare il velo, arrivare nella nostra società ad un conflitto fra le forze che dall’essere sudditi conduca al ritorno alla piena cittadinanza”.

Da libertaegiustizia.it


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