Giornalisti. Scodinzolanti verso il potere gli yesman dell’informazione si limitano ad abbaiare (verso il Forum di Assisi)

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Da quando ho cominciato a fare il giornalista, oltre trent’anni fa, vedo a dirigere gli organismi dei giornalisti quasi sempre le stesse facce. E sento le stesse lamentele: “Il giornalismo è appiattito, occorre ridargli vigore, deve tornare a essere l’anima della democrazia….” Mi piace molto il sondaggio di Articolo21 “Cosa ne pensi?” Alla domanda. “Cosa vorresti vedere di più in TV?”, volevo rispondere paradossalmente “Informazione politica”. Già perché in tv non c’è informazione politica, ma solo il gossip, finte indiscrezioni, nessuna critica. Sembra che si intervisti la gente non già per quello che ha da dire, ma solo per la faccia da mostrare. A trent’anni dallo scandalo P2 gli iscritti alla Loggia imperversano ancora in TV. E nessuno fa una piega.

Che belle le interviste d’assalto, quelle che mettono in difficoltà l’interlocutore e lo incalzano. Qui invece la rinuncia a esercitare il proprio mestiere sembra totale e si dà per scontata. Mi indigno quando (e capita in continuazione) sento: “Il ministro Tal dei Tali ha detto che bla bla bla. Sentiamo cosa ha detto” e compare quella che Enzo Nucci, nel suo intervento su questo Forum, definisce “La Mano“ della famiglia Adams, con il politico di turno che ripete esattamente quello che ha detto il giornalista in studio. E come se su un giornale stampato ci fossero due articoli uguali. Ma è possibile che pochi si indignino?

Le critiche, che in questo Forum abbondano, restano fine a se stesse se non trovano poi uno sbocco in proposte concrete. Il cahier di doléance, scusate, non serve a molto giacché sulla materia sono stati scritti fiumi di inchiostro. La dirigenza dei giornalisti va cambiata spesso e non solo i vertici, come prevedono alcuni statuti, ma anche i dirigenti di media importanza. Non è possibile avere sempre le stesse facce con gente che è in permesso sindacale da oltre 20 anni. Non sono più colleghi, perché hanno perso il senso della realtà. Hanno perso il contatto con le redazioni, con il nuovo modo di lavorare, con le nuove tecnologie che ogni giorno diventano più impegnative. Occorre prendere il toro per le corna (l’immagine in inglese è più coreografica: “Take the bull by the balls”) e chiederci, per esempio, se vale ancora la pena considerare giornalisti la massa di avvocati, medici, farmacisti, commercialisti, professori di università, postini e compagnia bella iscritti all’Ordine come pubblicisti.

Oggi nel Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti siedono 75 professionisti e 75 pubblicisti. Non esito a definire, con un eufemismo, curiosa questa percentuale. Attenzione è vero che esistono pubblicisti che esercitano il mestiere a tempo pieno, ma questi devono essere a pieno titolo considerati professionisti. Gli altri via! Fanno altri lavori,dignitosissimi per carità, ma che niente hanno a che fare con il giornalismo.

La legge sull’Ordine professionale data dal 1963. Dal giorno dopo si cominciò a discutere sulla sua riforma. Cinquant’anni per non approdare a nulla. L’Ordine e la sua burocrazia che consumano migliaia di euro (forse potrebbero essere impiegati per esempio per sostenere i colleghi in difficoltà) vanno cancellati e sostituiti con un’authority snella che si occupi solo di etica e deontologia.

C’è qualcuno che obbietterà: ma cosa c’entra l’Ordine con la crisi del giornalismo? Semplice tutti gli organismi dei giornalisti sono superati e giocano un ruolo negativo perché i dirigenti, salvo qualcuno (e mi riferisco in particolare al presidente dell’Ordine Nazionale Enzo Iacopino, che fa un ottimo lavoro nonostante appunto l’organizzazione che dirige), non pensano al ruolo dell’informazione in un Paese a democrazia avanzata (oh mamma mia, sto usando una definizione un po’ grossa per l’Italia) ma piuttosto ai giochi di potere, ai vantaggi che può trarne la propria corrente o il proprio gruppo. L’informazione viene difesa a parole, con proclami altisonanti. E poi, quando si tratta di agire? Nulla; tutti i propositi bellicosi svaniscono.

Esilarante, se non ci fosse da piangere, la vicenda RCS/Recoletos. Dalla ricostruzione/inchiesta fatta dal CdR del Corriere della Sera emergono lati oscuri che occorrerebbe chiarire. Non si capisce dove siano finiti 800 e passa milioni di euro. E’ piuttosto singolare che il Washington Post venga venduto per 195 milioni di dollari e la Recoletos costi 1,1 miliardi di euro. Bene, né il CdR della RCS periodici, né quello del Corriere della Sera, né la Lombarda, né la Romana, né la Federazione Nazionale della Stampa, hanno pensato – nonostante tutte le sollecitazioni – di inoltrare un esposto alla magistratura sulla vicenda che sta non solo costando decine di posti di lavoro, ma anche una caduta verticale del prestigio e dell’autorevolezza di quella che era la più grande casa editrice del nostro Paese.
A presentare l’esposto alla magistratura ci ha pensato l’Ordine dei Giornalisti. Durante un burrascoso consiglio nazionale (quello dei 75 professionisti e 75 pubblicisti) nel quale una miriade di colleghi aveva qualcosa da obiettare per quello che sarebbe dovuto essere un semplice atto dovuto. C’è voluta la caparbietà di Iacopino (che i sindacalisti non amano) se la richiesta di inviare la segnalazione alla magistratura è stata approvata.

I nostri dirigenti hanno un modo di ragionare, di affrontare i problemi che non guarda l’obbiettivo finale e cioè la tutela del giornalismo e dei giornalisti. Impegnati a conservare il proprio potere e se mai a trasferirlo ai delfini, non prendono neppure in considerazione le idee e le proposte di chi rifiuta di entrare nei giochi fatti di “una sedia a te e una poltrona a me”. Così gli organismi di giornalisti – che dovrebbero essere l’avanguardia dell’informazione – sono ridotti a una penosa gestione del quotidiano, scavalcati dagli eventi, dalla tecnologia e dalla politica che per sua natura tende a imbrigliare la libera informazione. Occorrerebbe ristabilire delle regole chiare e precise, per esempio sancire una distinzione insuperabile tra giornalismo e politica. Chi parla in un consesso di giornalisti di antagonismo tra politica e informazione commette un sacrilegio. Se si sostiene, come più volte ho fatto, che la tessera di un partito è incompatibile con quella di giornalista si rischia di essere bersagliati da uova marce.

Io sono del parere che gli atteggiamenti che si assumono rivelino tendenze dell’animo e attitudini della mente. In Italia anche il giornalismo, si loda e si imbroda tanto per scimmiottare la politica e così spuntano i “presidenti emeriti dell’Ordine della Lombardia o della Campania” che sono più semplicemente “ex presidenti”. D’altro canto quelli che in tutto il mondo vengono chiamati “ex papi”, da noi diventano “papi emeriti” . Ma perché tanta riverenza, tanta venerazione per il potere? Il leccaggio del potente è nell’animo di tanti, troppi giornalisti. Perché continuare a chiamare direttore un collega che non lo è più. Per rispetto? Deferenza? O perché si vuole in qualche modo ricercare qualche favore o prebenda? Bene faceva Montanelli, al suo ritorno al Corriere: quando incontrava qualcuno che nei corridoi lo salutava, “Buongiorno direttore”, rispondeva: “Direttore di che? Della mia donna di servizio!” Equivoci con i quali convive la nostra professione che si vanta per esempio di difendere l’autonomia e l’indipendenza dei giornalisti e poi ammette al proprio interno chi si occupa di uffici stampa e pubbliche relazioni. E’ chiaro che vivendo con queste contraddizioni si commettono errori clamorosi che condizionano tutta l’informazione e la fanno morire.

Ho mescolato un po’ di concetti in un modo un po’ sparpagliato e chiedo scusa. Ma aggiungo ancora qualcosa. La rivoluzione francese (siamo nel 1789) ha stabilito la separazione tra i poteri Legislativo, Esecutivo e Giudiziario. E’ un concetto che a noi sembra assolutamente banale, nonostante il fascismo l’abbia negato per vent’anni, ma che è stato dirompente. Allora si dava per scontato che il re facesse tutto e sembrava impensabile una divisione netta dei poteri. Oggi a distanza di oltre 200 anni, quelle idee non sono più sufficienti a garantire la democrazia. E poiché la politica non si muove (ovviamente) tocca alle organizzazioni dei giornalisti reagire e mobilitarsi su un problema essenziale per la democrazia: separare il potere politico, da quello economico, da quello dei media. In Italia per 20 anni abbiamo avuto una persona che ha racchiuso in se stessa le tre funzioni, come per altro teorizzava il programma della P2. Geniale! Solo in Africa troviamo personaggi simili.

Purtroppo devo a malincuore constatare che pochissimi si sono posti questo problema che è la chiave di volta di tutto. Scodinzolanti verso il potere gli yesman dell’informazione si limitano ad abbaiare. Bravissimi a protestare perché in Ungheria hanno varato leggi liberticide o perché in Kurdistan hanno messo in prigione una decina di giornalisti, non si accorgono che l’informazione italiana è in coma. O meglio si accorgono ma non riescono o non vogliono inventare qualcosa per reagire a questa eutanasia del giornalismo.

E allora un Forum come questo di “Articolo 21” può essere la sede per elaborare nuove proposte di azione. Io provo a lanciarne qualcuna, con le quali intendo anche spezzare alcuni di quegli equivoci con i quali convive la nostra professione:

1 – Abolizione dell’Ordine dei giornalisti e sostituzione con un’Autority snella che si occupi di deontologia e etica e non di formazione che si lascia alle università e alle scuole.
2 – Abolizione di conseguenza del praticantato,
3 – Ristrutturazione totale del sindacato in coma con riduzione delle Associazioni Regionali del Giornalisti a 4 o 5 macroregioni che, tra l’altro, diventino interlocutori del potere politico e lo inseguano sui problemi dell’informazione. Un sindacato che si occupi dei giornalisti ma anche, concretamente e non solo a parole del giornalismo. Che da antagonista diventi protagonista. Le trattative con gli editori non devono essere affidate ai giornalisti ma a funzionari capaci che le sappiano gestire perché fanno quello di mestiere.
4 – Nomina di una commissione di esperti che studi una legge per sottrarre la Rai al potere politico e la propongano sia ai parlamentari sia come legge di iniziativa popolare.
5 – Stessa cosa per impedire che politica, economia e informazione diventino un tutt’uno. Il conflitto di interessi non riguarda solo politica e economia, ma anche l’informazione
6 – Spezzare qualunque rapporto organico con la politica. Fuori dal sindacato chiunque rivesta un incarico politico o abbia una tessera di partito.
7 – Aprire INPGI e Casagit a chi lavora in altri settori della Comunicazione, uffici stampa e PR, che si debbono creare una loro associazione distinta da quella DEI GIORNALISTI, e quello che si vuole, la previdenza e la malattia possono essere migliorate consorziandoci con altre categorie.

Un concetto dev’essere chiaro. Non si rimane giornalisti a vita: se si lascia questo mestiere si smette anche di essere giornalisti.


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