Francesco Gangemi (nella foto) direttore del mensile “Il Dibattito”, nonostante i suoi 79 anni di età si trova da ieri nella casa circondariale San Pietro di Reggio Calabria. Dovrà scontarvi due anni di reclusione, secondo quanto disposto dal giudice Elvira Tafuri del Tribunale di Catania. Gangemi era stato condannato per l’accusa di diffamazione a mezzo stampa. Per il Procuratore Generale “ha omesso di presentare l’istanza per la concessione delle misure alternative alla detenzione nei termini prescritti”. “Mio padre in questo momento sta bene – ci racconta il figlio Maurizio, anche lui giornalista, che abbiamo raggiunto al telefono appena uscito dal colloqui con il genitore – l’ho trovato fiero e dignitoso e grazie a Dio è assistito bene sia dal medico dell’infermeria che dalle guardie carcerarie”.
Come ha preso questa vicenda?
“E’ molto stupito perché non credeva che il tribunale di Catania potesse emettere un provvedimento del genere, anche perché lui sostiene che tramite il suo avvocato aveva adempiuto a tutti gli obblighi per ottenere una pena alternativa con l’affidamento ai servizi sociali o ai domiciliari”.
Quindi non è vero ciò che scrive il giudice nel provvedimento sulla mancata richiesta
“Mio padre proprio questa mattina mi ha raccontato che l’ultima sentenza, quella cui fa riferimento il provvedimento, è stata pronunciata in sua assenza e depositata in cancelleria. Allorquando mio padre in qualità d’imputato ed il suo difensore di fiducia, l’avvocato Lupis, ne sono venuti a conoscenza erano già scaduti i termini di trenta giorni per poter opporre l’istanza per scontare la pena alternativa. Nonostante questo, il suo avvocato ha presentato comunque l’istanza ed il 14 novembre si discuterà questa davanti alla Corte d’Appello di Catanzaro”.
Quindi potrebbe essere un caso di una mala organizzazione della giustizia?
“Voglio pensare che i giudici abbiano agito in buona fede, perché per me l’aberrazione fondamentale è l’esistenza di una legge che prevede, per il reato di diffamazione a mezzo stampa, il carcere”.
Mi dice qual è il suo pensiero su questo e su quelle che vengono definite querele temerarie?
“Ci sono giornalisti, ben più famosi di mio padre, che nel recente passato hanno visto il carcere o rischiato di finirvi. Mi riferisco a Sallusti, Belpietro, Jannuzzi. Quello che la Corte Europea ha sancito per Belpietro deve valere per tutti. E’ l’Italia che è indietro rispetto alla legislazione europea. Il caso di mio padre dopo quelli di Belpietro e degli altri è il punto di partenza dove il legislatore, il Parlamento, prendano carico del fatto che le normative devono essere adeguate a quelle europee. Non è possibile in Italia fare le cose solo attraverso bacchettate di altri”.
Come vivete a Reggio Calabria la quotidianità del vostro lavoro di cronisti con il dovere di raccontare una realtà difficile e pericolosa, soprattutto per chi la racconta?
“La viviamo nella consapevolezza di fare il nostro lavoro innanzitutto nella ricerca della verità per dare un’informazione corretta ai nostri lettori e nella ricerca della giustizia. Perché qui, nonostante l’ambiente sia difficile come ha detto lei, ci sono persone che perseverano credendo nella Giustizia con la maiuscola, credendo negli uomini e nelle donne che riempiono questa straordinaria terra piena di contraddizioni e la viviamo facendo il nostro dovere, sapendo che l’ambiente è difficile. C’è chi molla alle prime difficoltà c’è chi invece, come mio padre, ha il coraggio e la determinazione di andare avanti nelle sue battaglie”.