Equo compenso subito: ecco perché non possiamo più attendere

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Gli editori che ricevono finanziamenti e benefici pubblici sarebbero tenuti a riconoscere ai giornalisti freelance loro collaboratori un equo compenso, in sintonia con quanto dispone l’art. 36 della Costituzione. Lo stabilisce la legge 233/2012, in vigore da gennaio. Ma ancora inapplicata, perchè non ne sono state emanate le norme attuative, di competenza di una commissione presso il Dipartimento editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri, di cui fanno parte rappresentanti del governo, dei giornalisti e degli editori. L’equo compenso (che potrebbe servire d’esempio anche per altri settori del lavoro non dipendente) è – e forse non a caso – ancora in lista d’attesa. Il commento di un giornalista freelance:

La legge c’è. Basta non applicare quella. Ecco cosa succede dopo che il Parlamento ha approvato una norma, la legge sull’equo compenso, che per la prima volta nella storia della Repubblica, garantisce anche ai lavoratori che non hanno un contratto di lavoro stabile una retribuzione rispettosa a quello che stabilisce la Costituzione all’articolo 36, ossia una retribuzione adeguata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto e, in ogni caso, sufficiente a garantire al lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa.
Per migliaia e migliaia di professionisti del giornalismo sarebbe finalmente la realizzazione ad un elementare diritto: quello di poter vivere appunto una vita libera e dignitosa. Attualmente le cose non stanno affatto in questi termini: la precarietà e la povertà dei compensi rubano la vita e la dignità di intere generazioni. Ragazze e ragazzi, ma c’è tanta gente con i capelli bianchi a cui per anni è stato ripetuto ossessivamente di accontentarsi, che un cattivo lavoro era meglio di nessun lavoro e che non si può pretendere troppo.

Con questo ricatto, aggravato dai continui peggioramenti delle norme sul diritto del lavoro e sul sistema pensionistico si è costruita la trappola perfetta che è scattata mordendo le caviglie e azzoppando più di una generazione. Donne e uomini a cui è negato tutto: la stabilità di un posto di lavoro, la sicurezza di un compenso adeguato per potersi mantenere, creare una famiglia, programmare il futuro. Persino la prospettiva di una pensione è diventata ormai aleatoria e precaria. Da una parte imperversano gli stage che hanno il solo scopo di fornire lavoro gratuito o semigratuito alle imprese, corsi truffa che, nella stragrande maggioranza dei casi serve solo ad arricchire chi li organizza e dall’altra c’è un lavoro il cui costo è sempre più slegato dal suo valore.

Per questo è necessaria una legge sull’equo compenso: perché è intollerabile che ci siano persone a cui è negata la possibilità di vivere degnamente del proprio lavoro, è ingiusto che ci siano aziende che percepiscano aiuti pubblici in qualunque forma, mentre approfittano sempre più apertamente della debolezza di precari e freelance con l’ovvia considerazione che essendo loro i monopolisti dei fattori di produzione, sono in grado di dettare in base ai rapporti di forza, condizioni vessatorie ai loro collaboratori. Non un centesimo di denaro pubblico deve andare a questi approfittatori.

E se adesso è una questione che riguarda i giornalisti, deve essere chiaro che questa è una battaglia che può e deve riguardare tutti i lavoratori autonomi, freelance e precari. Quelli che si trovano all’ultimo stato del lavoro, che non hanno nessun diritto, nessuna rappresentanza politica e che il sindacato stesso fatica a comprendere pienamente. Persone che sono costrette ad un’esistenza perennemente in sospeso. Ecco perché la piena applicazione della legge sull’equo compenso è urgente: perché i diritti e la dignità migliaia di giovani, di donne e uomini non può più aspettare.

*Giovanni Ruotolo (del Gruppo Freelance Subalpini e della Commissione nazionale lavoro autonomo Fnsi)


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