Le Lampeduse del mondo non interessano

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Per qualche ora Lampedusa tornerà sotto i riflettori dei media italiani. Succederà l’8 luglio quando papa Bergoglio andrà sull’ isola siciliana che accoglie gli “uomini tonno”, quelli che sopravvivono a viaggi della speranza a bordo di barche rotte e troppo cariche, che si aggrappano esausti alle reti per l’allevamento dei tonni, sperando che qualcuno che li vede si fermi a salvarli. I media torneranno con i loro inviati a cercare storie di uomini e donne in fuga dalla fame, dalla violenza, dalla povertà e dalle guerre. Infileranno le telecamere tra le sbarre dei CIE, le non-prigioni per persone private della libertà senza aver commesso reati. Intervisteranno gli abitanti dell’isola che convivono con questa umanità sofferente. Filmeranno il cimitero senza nome dei tanti che sono morti prima di vedere la terra promessa. Mostreranno la discarica dei relitti delle barche, testimoni muti della paura e dei sogni. Per un giorno forse Lampedusa non sarà il simbolo dell’allarme-sbarchi, ormai divenuta una parola unica, perché se ci si basa sui media, gli sbarchi sono intrinsecamente legati a un allarme sociale. Papa Bergoglio ne ha colto un altro aspetto. Ha ascoltato il grido che veniva da questo lembo di terra d’Europa situato più a Sud di Tunisi e Algeri. Ha letto il dolore e la speranza divenuti tutt’uno. Ha visto negli uomini e nelle donne sbarcati per ultimi il volto dei tanti migranti e disperati di tutto il mondo. E ha scelto di andare lì a Lampedusa, simbolo delle Lampeduse sparse ovunque: sulle coste italiane e nei campi di pomodoro; nelle fabbriche che chiudono; tra i minatori che si sono barricati sotto terra per avere voce; nell’Europa della crisi economica, tra i rom che nessuno vuole; nell’America ricca del Nord e nei Paesi “al confine del mondo” dell’altra America; nell’Africa ricca di materie prime ma anche di guerre, violenze e sfruttamento; nella Cina, in cima alle classifiche dei paesi boia per numero di esecuzioni capitali; nel Pakistan tra le minoranze perseguitate; tra le donne vittime degli stupri di massa del Congo; nell’Afghanistan da cui scappano a piedi, via terra e via mare migliaia di bambini per sfuggire a un destino violento;  nei campi profughi dove vivono milioni di persone e di famiglie; nelle aree devastate dalla carestia;  tra le donne di Srebrenica che ancora cercano i corpi dei loro cari. I media si accalcheranno per raccontare del papa venuto da lontano che visita gli uomini e le donne venute anche loro da lontano ma con un destino diverso. Gli “uomini tonno” torneranno a essere persone con dignità e diritti e non solo dei ladri di lavoro. Lampedusa sarà un’isola e i suoi abitanti delle persone che non hanno chiuso e non vogliono chiudere gli occhi davanti alla sofferenza che preme ai confini. Poi i riflettori si spegneranno e di Lampedusa si parlerà ai prossimi sbarchi o alla prossima rivolta dei prigionieri senza reato. Secondo una ricerca dell’Osservatorio di Pavia commissionata da Medici Senza Frontiere sui Tg delle reti Rai e Mediaset, solo il 4% delle notizie di prima serata è dedicato alle crisi umanitarie. Le Lampeduse del mondo non interessano. O per lo meno così pensano i direttori che eliminano dall’agenda delle notizie gran parte del pianeta, oscurandolo fino a cancellarlo. La sfida di papa Francesco allora è una sfida anche ai media, perché tornino a fare il loro lavoro, senza cercare scorciatoie per fare ascolto, rifugiandosi nell’alleggerimento o nelle tre s di sesso soldi e sangue, mai andati fuori moda. Perché sappiano vedere, ascoltare e raccontare le tante Lampeduse del mondo, senza pietismo, ricerca di sensazionalismo e pregiudizi. Ma soprattutto, senza chiudere gli occhi e le orecchie.


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