ANDREA IACOMINI: “Siria, un’intera generazione a rischio”

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La tragedia che si sta consumando in Siria dura ormai da oltre 27 mesi, si parla di decine di migliaia di morti, di milioni di rifugiati, sono cifre incredibili e malgrado ciò si avverte una certa indifferenza generale, indifferenza difficile da scalfire nonostante i numerosi appelli di varie organizzazioni umanitarie internazionali. Il commissario Onu Navanethem Pillay a riguardo ha detto: “E’ una tragedia che ci porteremo sulla coscienza e per la quale saremo giudicati”. In Italia cercare di parlare di quello che succede in Siria è difficile, c’è un opinione pubblica divisa sulle ragioni del conflitto, ci sono persone che negano l’elevato numero delle vittime e dei rifugiati nonché la distruzione di edifici privati e pubblici fra cui moltissimi ospedali. Nell’affrontare questo argomento è sempre presente il rischio d’innescare polemiche e perdere di vista le persone, fra cui un elevatissimo numero di bambini che soffrono a causa degli scontri armati, dei bombardamenti e delle privazioni causate da questi. Ne abbiamo parlato con il portavoce dell’Unicef per l’Italia, Andrea Iacomini.

Come si sta muovendo l’Unicef per portare aiuti alla popolazione siriana? Come possiamo sostenere le vostre iniziative?
E’ davvero una tragedia una delle più gravi crisi al mondo quella che si sta consumando in Siria. La vita di 4 milioni di bambini ne risulta distrutta e un’intera generazione è a rischio. Il crescere continuo delle violenze e la distruzione di servizi e beni di sussistenza essenziali mette sempre a più grave rischio la vita dei bambini che ne sono vittime.  Più di 93.000 persone hanno perso la vita dal marzo 2011, di cui oltre 6.000 sono bambini. La media è di 5.000 morti ogni mese a partire da luglio 2012.L’UNICEF, come sempre in prima linea, sta operando attraverso settori prioritari d’intervento: sanità, nutrizione, acqua e igiene, istruzione, protezione dell’infanzia, fornitura di generi di primo soccorso, sia in Siria sia nei paesi confinanti che accolgono profughi in fuga dal conflitto. In Siria 6,8 milioni di persone sono state colpite dal confitto, oltre 4,25 milioni sfollate all’interno dei confini nazionali. I bambini colpiti dal conflitto sono 3.128.000, quelli sfollati 1.955.000. Nei paesi limitrofi i profughi registrati dall’UNHCR o in attesa di registrazione sono 1.605.715 di cui 814.395 sono bambini o adolescenti. Una situazione senza precedenti. L’UNICEF ha attuato un Piano di risposta umanitaria fornendo aiuti e servizi essenziali a migliaia di bambini e donne vittime delle violenze. In questo scenario le possibilità d’intervento restano però limitate dalle condizioni di sicurezza, dalle difficoltà di movimento e anche dalla mancanza di carburante. In Siria l’UNICEF ha finora fornito accesso a migliori condizioni igieniche a 132.369 persone, acqua potabile a 439.458 e sostanza di cloro per il trattamento idrico per 8,8 milioni di persone; 159.614 bambini stanno ricevendo sostegno-psicosociale e 114.392 sono inseriti in programmi di istruzione informale. Da gennaio, un totale di 62.000 bambini con meno di 1 anno hanno ricevuto le vaccinazioni di routine. L’UNICEF ha avviato la riparazione di 106 scuole a Dera’a, nelle zone rurali di Damasco, Lattakia, ha fornito 104 scuole prefabbricate e materiali didattici per 81 scuole: un totale di 184.830 bambini hanno ricevuto aiuti scolastici. Uno degli obiettivi è anche quello di inserire i bambini siriani nelle scuole pubbliche libanesi, finora 22.464 bambini siriani sono stati inseriti nelle scuole pubbliche e hanno ricevuto materiali scolastici per facilitarne il ritorno a scuola.
L’UNICEF costantemente si preoccupa di sensibilizzare l’opinione pubblica rendendola consapevole di questa tragedia e dei migliori risultati che si potrebbero raggiungere con un aiuto da parte di tutti.  Abbiamo finora trasferito oltre 876.951 euro per l’azione umanitaria in soccorso dell’infanzia siriana, grazie alla generosità dei nostri donatori. Tutti noi possiamo contribuire a salvare la vita di questi bambini, costretti a vivere giornalmente in uno scenario di guerra e privi di un posto sicuro dove vivere. Per farlo, si può donare direttamente sul nostro sito www.unicef.it.

Quali sono le altre emergenze umanitarie di cui l’Unicef si sta occupando?
Sono moltissime, la maggior parte si consumano in silenzio. Nel mondo, ci sono decine di “emergenze dimenticate” e crisi umanitarie di lungo periodo in cui l’UNICEF interviene con una logistica d’avanguardia, strumenti efficaci e con un unico obiettivo: proteggere i bambini e i loro diritti. Oltre la Siria anche in Sahel lo scenario è terrificante. Sono complessivamente 18 milioni le persone che hanno subito le conseguenze della crisi alimentare a seguito della gravissima siccità che ha investito 9 Paesi nella regione africana: gli interi territori di Ciad, Burkina Faso, Gambia, Mauritania, Mali e Niger e le regioni settentrionali di Nigeria, Camerun e Senegal.

Per non dimenticare poi la grave situazione che ha colpito la Repubblica Centrafricana dove migliaia di bambini sono costretti a fuggire a causa della guerra civile.
Sul sito Unicef Italia si legge che in Italia un bambino su 7 soffre a causa di deprivazioni materiali, fra i dati riportati si parla dell’1,2% dei bambini del nostro paese che non può permettersi 3 pasti al giorno, il 2,5% non può mangiare frutta e verdure fresche ogni giorno, il 4,4% non può cibarsi di almeno un pasto al giorno composto da carne, pollo o pesce, il 2,6% di bambini non può permettersi d’indossare 2 paia di scarpe della misura giusta.

L’Italia in Europa è al 29° posto su 35 riguardo a quella che viene definita di povertà relativa. Viene da chiedersi se ci sia un certo interesse da parte della politica e di altre istituzioni verso l’infanzia. Quanto s’investe sul futuro, sulle donne e gli uomini del domani?
I dati di Report Card che abbiamo presentato sono sconvolgenti. L’indagine, condotta in 29 Stati ad economia avanzata, vede l’Italia, purtroppo, nella metà inferiore della classifica al 22 posto su 29. Nel Rapporto è chiaro che il livello di povertà dipende dalle scelte politiche e che alcuni paesi stanno facendo meglio di altri nel proteggere i bambini più vulnerabili. Come UNICEF infatti esortiamo i governi ad un maggior impegno, ad un maggior dialogo e a valutare l’impatto e gli effetti sui bambini per ogni nuova misura politica presa in considerazione. Nelle decisioni politiche purtroppo i bambini, gli adolescenti, le donne, i giovani adulti non hanno voce in capitolo eppure le loro idee e le loro esigenze sono di vitale importanza. I bambini sono il nostro futuro, è ora che lo capiscano tutti.

In questi giorni le dichiarazioni del Ministro Cécile Kyenge riguardo allo Ius soli hanno scatenato polemiche non solo da parte della Lega ma anche da parte di una certa popolazione che si rifà ad un sentimento nazionalista, a parte loro molti polemizzano sul fatto che questa, per via della crisi che sta attraversando il paese, non sia una priorità. Oltre il fatto che parliamo di un “diritto civile” (per cui è sempre una priorità parlarne) perché è importante affrontare adesso questo tema?
E’ un tema oramai al centro della nostra politica. L’ UNICEF a livello nazionale ha promosso la Campagna “IO COME TU. MAI NEMICI PER LA PELLE” per affermare l’uguaglianza dei diritti e l’eliminazione delle discriminazioni per TUTTI i bambini e gli adolescenti a partire da quelli di origine straniera che vivono, crescono e studiano, in Italia. In Italia, preoccupa sempre più il diffondersi di comportamenti discriminatori nei confronti di bambini e adolescenti di origine straniera. L’impegno dell’UNICEF è proprio quello di promuovere la riforma dell’attuale legge sull’acquisizione della cittadinanza per i bambini e gli adolescenti di origine straniera sulla base dei principi di non discriminazione e di superiore interesse alla base della convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. L’UNICEF inoltre organizza occasioni di incontro, scambio e di iniziative di sensibilizzazione rivolte a bambini e ragazzi sul tema dell’uguaglianza dei diritti, della non discriminazione, della xenofobia e del razzismo.

Parliamo degli 8 Obbiettivi del Millennio, a che punto siamo? C’è un concreto interesse nel portare avanti questi obbiettivi anche da parte del nostro paese?
Fin dal momento della loro adozione da parte dell’ONU, gli otto Obiettivi del Millennio hanno assunto il ruolo di riferimento universale per lo sviluppo, condiviso sia dai paesi in via di sviluppo sia dei donatori. L’UNICEF, a poco meno di 1000 giorni alla scadenza degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, ha presentato un nuovo sito web dedicato ai grandi progressi compiuti e alle disparità da colmare nel percorso avviato 12 anni fa per garantire a tutti i bambini salute, istruzione e protezione.Uno dei maggiori successi della storia della cooperazione allo sviluppo riguarda la lotta alla mortalità infantile: il tasso globale di mortalità infantile è calato, anche se, purtroppo, le disparità tra famiglie ricche e famiglie povere sono aumentate o sono rimaste invariate.
I programmi di vaccinazione hanno offerto un contributo notevole alla riduzione della mortalità infantile. Si stima infatti che, contro le principali malattie, le vaccinazioni salvino ogni anno la vita di due milioni e mezzo di bambini tra 0 e 5 anni. Nonostante la crescita della popolazione, il numero di decessi di bambini sotto i cinque nel mondo è sceso da 12,4 milioni nel 1990 a 6,9 milioni nel 2011, che si traduce in un minor numero di circa 14.000 bambini che muoiono ogni giorno. Eliminare la povertà estrema continua ad essere una delle sfide principali del nostro tempo. Porre fine a questa tragedia richiede lo sforzo congiunto di tutti, governi, organizzazioni della società civile e del settore privato, in uno spirito di collaborazione per lo sviluppo più intensa ed efficace.La realtà però è ben diversa. La maggior parte dei governi hanno tagliato i fondi per la cooperazione internazionale. Questo è un dato certo e drammatico. Lo ha fatto anche l’Italia e non di recente. Certamente la crisi ha giocato un ruolo predominante in queste scelte, ma non è tutto. C’è anche in questo caso un aspetto politico. Finanziare progetti di sviluppo in alcuni Paesi significa rischiare di cedere una parte di potere e di controllo su quelle nazioni.
I problemi globali dunque rimangono ben presenti. Per il miliardo di esseri umani che vivono al di sotto della soglia di povertà, senza accesso all’acqua potabile o ai servizi sanitari, e per i bambini che di questa schiera costituiscono la fragile maggioranza, l’unica speranza per un futuro migliore risiede nella capacità dei leader mondiali di essere fedeli alla promessa fatta nel 2000.

Il “Pacifismo” sembra subire i tempi delle mode, viviamo, almeno in Italia, in un periodo in cui non se ne parla molto, eppure la pace dovrebbe, proprio per la “tranquillità” di ogni singolo cittadino, riguardare tutti. Perché questo tema non ha molta presa sulle persone comuni? Cosa possiamo fare per risvegliare questo spirito e sensibilizzare il nostro ambiente sul tema della pace?
In una fase storica come quella attuale, in cui la guerra costituisce una dimensione stabile e ricorrente, parlare di pace risulta al tempo stesso difficile ma fondamentale. Questo è un tema che attualmente ha poca presa sulle persone comuni anche perché la crisi economica e finanziaria, che sta scuotendo il mondo capitalistico, non apre la strada a aspirazioni positive. E’ una crisi di non facile soluzione e rischia di scatenare nuovi ed imprevedibili conflitti.Le persone comuni sono esasperate. Hanno come priorità quelle di sfamarsi, arrivare a fine mese, resistere di fronte a tutto questo. E non tutti riescono a farcela.

Come parlare dunque di pacifismo in un clima così faticoso?
E’ un compito arduo. Eppure si dovrebbe cercare di costruire, con l’aiuto e la cooperazione di tutti, compresi i governi, un ambiente sicuro e tranquillo in cui vivere, un ambiente protetto per i bambini, per questi bambini che saranno gli adulti di domani, ai quali non si dovrebbe togliere la possibilità di mangiare, giocare e studiare. Privando questi bambini delle fonti primarie, si toglie loro la possibilità di svilupparsi e la speranza di poter vivere, un giorno, in un mondo che sia davvero governato dalla pace.


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