Ma in quegli anni ’70 fu tutta un’altra storia

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Il presidente Napolitano l’altro ieri, ricordando la figura di Gerardo Chiaromonte, ha rievocato lo spirito unitario che animò, un quarantennio fa, la politica del Pci e che fu alla base del compromesso storico, attualizzandone in qualche modo la portata. Ma, in sintesi, quella strategia quale percorso ebbe? La politica del compromesso storico o delle larghe intese (dalla Dc al Pci passando per il Psi e per i laici minori) partì dalla necessità di fronteggiare una crisi pesantissima, di tipo politico, economico e morale (scandalo Lockheed, petroli, ecc.). Berlinguer la lanciò con alcuni articoli su “Rinascita” dopo la fine nel sangue e nella repressione fascista del governo cileno guidato dal socialista Salvador Allende, sostenendo (ovviamente semplifico): “non si può governare col 51%”. Ero in quei giorni con Riccardo Lombardi che obiettò: “A me non preoccupa il 51, bensì il 90 %”…Non siamo il Cile, siamo in Europa.” Quella politica trovava infatti freddo il Psi e lasciava fuori dalla maggioranza, di fatto, soltanto radicali e missini. Nel Pci tuttavia c’era grande compattezza in proposito, il solo a votare esplicitamente contro risultò Umberto Terracini.

La crisi politica, indubbiamente molto grave, era dovuta all’usura del centrosinistra, che aveva portato, nel ’72, ad un riflusso elettorale a destra e ad un breve quanto pericoloso governo di centrodestra Andreotti-Malagodi (devastante, in specie, la sua legge sui superburocrati che sguarnì lo Stato dei suoi dirigenti migliori). Un anno appena di governo precario. Sufficiente a far danni. Si veniva dalla strage di piazza Fontana e cominciava a montare in modo ossessivo il terrorismo, di destra e di sinistra. L’Italia era un crocevia di spie e di servizi segreti, fra l’Est ancora sovietico,la Greciadei Colonnelli,la Spagnadi Franco e il Portogallo di Caetano. Scoppiavano scandali a ripetizione dovuti anche alla mancanza di qualunque finanziamento pubblico dei partiti.

C’era stato inoltre, nel ’73, il primo choc petrolifero e l’inflazione letteralmente galoppava. Tutti gli anni con incrementi a due cifre, tendente verso il 20 %: il carovita fra il 1976 e il 1980 oscillò fra il 12,43 e il 21,14 % di aumento. Una febbre altissima. Che scemò soltanto verso la metà degli anni ’80 coi governi Spadolini e soprattutto Craxi (nell’86 l’incremento si fermò al 6,1%).

Il Pci ambiva ad essere finalmente legittimato quale partito di governo.La Dcguidata da Moro, con Zaccagnini (l’onesto Zac) segretario e le sinistre dc in posizione di rilievo, teorizzava la “terza fase”, una politica di incontro, di intese graduali col Pci. Quindi erala Dcsostanzialmente a condurre il gioco e per essa Aldo Moro, nonostante l’evidente freno da parte degli Stati Uniti. Il montare della crisi economica e del terrorismo (rosso e nero) accelerò questo processo. In quegli anni gli attentati, i ferimenti, gli agguati di stampo terroristico si contarono a migliaia e i morti a centinaia.

Il primo governo nel quale il Pci tornò nell’area di governo fu quello chiamato “della non sfiducia” e cioè un monocolore dc presieduto da Andreotti, fino a poco prima giustamente avversato, come leader del centrodestra, dai comunisti. Venne votato il 29 luglio 1976 e durò fino al marzo 1978. Poi  Andreotti succedette a se stesso nello stesso marzo 1978 con un altro monocolore durato un altro anno, cioè fino al 20 marzo 1979 e al quale toccò governare la fase terribile del sequestro e dell’uccisione di Aldo Moro (marzo-maggio 1978). Una fase di governo nella quale, nonostante gli agguati e gli omicidi presso che quotidiani, il Parlamento diede prova di grande vitalità: vennero infatti approvate leggi importanti quali la n. 194 per l’interruzione volontaria di gravidanza (maggio ’78) sulla qualela Dcnon aprì alcuna crisi, riservandosi il referendum abrogativo, la legge n. 180 (Basaglia) sulla progressiva chiusura dei manicomi, la legge sull’equo canone, ecc. Altre normative – per esempio, sulla riconversione industriale – risultarono invece inceppate proprio dal fatto di essere il prodotto di una maggioranza tanto ampia e composita e delle sue mille diverse istanze.

Questa maggioranza parlamentare dovette, nell’estate del 1978, gestire anche la grave crisi istituzionale apertasi con la crescente sfiducia nei confronti del presidente della Repubblica Giovanni Leone ormai a pochi mesi dalla fine del mandato e la sua sostituzione, dopo 16 contrastate votazioni, con Sandro Pertini.

Ci sarà poi un Andreotti III con Pri e Psdi al governo e la stessa ampia maggioranza, durato dal 20 marzo al 4 agosto 1979 (con UgoLa Malfache muore il 26 marzo) e che gestirà le elezioni politiche del 3 giugno 1979. Nelle quali il Pci è il solo partito a pagare il prezzo delle “larghe intese” perdendo circa 4 punti percentuali rispetto al 1976 (30,4 %),la Dccala di una inezia e resta al 36,5 dei suffragi, il Psi guadagna pochissimo e non raggiunge il 10 (9,8 %), mentre hanno un buon successo i radicali col 3,45 % e 18 seggi. Avevo svolto una vasta inchiesta pre-elettorale per il mio giornale, il “Messaggero”, cogliendo nella base comunista, a Roma, a Milano, nelle regioni “rosse” un forte scontento per gli scarsi risultati, in termini sociali, dei governi sostenuti dal Pci. Nonostante che a Roma la politica avviata dalla prima Giunta di sinistra (sindaco Argan, vice-sindaco Benzoni) stesse operando attivamente, nelle borgate come nel centro storico.

Posizioni elettorali sostanzialmente ribadite alle europee di una settimana dopo (tranne un risultato migliore per il Psi, all’11 %), col Pci che perdeva ancora terreno ela Dcche scendeva di poco rispetto alle politiche. Questa doppia tornata elettorale segnò sostanzialmente la fine del compromesso storico e delle larghe intese.

Vale la pena di ricordare: a) il periodo 1976-80 rappresentò davvero una emergenza, in esso si manifestò l’acme del terrorismo con 199 morti ammazzati (il 60 % dell’intero arco terroristico iniziato nel 1969); b) l’inflazione imperversò per anni e anni con incrementi a due cifre, per lo più ben oltre il 15 % di incremento annuo; c) il partito di maggioranza era, in modo ancora netto,la Democraziacristiana con alla guida personaggi della caratura di Moro e Zaccagnini e quasi tutti i partiti erano partiti veri, caratterizzati, con una identità “storica”; d) i sindacati maggiori erano forti, organizzati in formazioni unitarie comela FLMsindacato di punta, e con leader quali Lama, Carniti, Benvenuto, Macario, Trentin, Marianetti, Del Turco, Marini, Bentivogli, ecc. Movimenti come le Acli fornivano un apporto significativo. Non esistevano partiti-azienda, né partiti “personali”, né, tantomeno, leggi ad personam ; e) le giunte Pci.-Psi-Psdi e a volte Pri governavano ormai tutte le maggiori città italiane, specie al Centro-Nord, e svolgevano una politica molto attiva sul piano urbanistico, sociale e culturale.

Insomma, differenze enormi rispetto ad oggi, sotto molti profili. Situazioni decisamente imparagonabili. Allora il Pci soffrì non poco l’intesa conla Dc, oggi per il Pd l’abbraccio con Berlusconi sarebbe, a mio avviso, mortale.


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