“E’ necessario ricostruire la Città della Scienza”

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Sono uno delle migliaia di napoletani che già 30 anni fa prese sul serio l’esortazione di Eduardo De Filippo : “Se volete fare qualcosa di buono, fuitevenne a’ Napoli”. Eduardo magari lo disse in un momento di pessimismo verso una città che sa essere madre generosa e matrigna cattiva ma è incredibile che a distanza di decenni ci ritroviamo a parlare dello stesso tema. Confesso che a volte
mi sento in colpa, ritenendo di non aver contribuito a sufficienza (con il lavoro, l’impegno sul posto) a disegnare uno scenario diverso per Napoli. Devo però dire che mi basta visitarla (e lo faccio un paio di volte all’anno sempre con un gran piacere di rivedere i luoghi dove ho vissuto per 26 anni) per rendermi conto che la mia eventuale presenza poco sarebbe servita a migliorare le cose.

Pessimismo della ragione che ha il sopravvento sull’ottimismo della volontà?
Ancora un volta Napoli in prima pagina per l’incendio della Città della Scienza, una delle poche istituzioni ancora spendibili di una città che figura agli ultimi posti nelle classifiche per la qualità della vita che periodicamente inondano i giornali. E’ un esercizio pleonastico ribadire la gravità di una ferita inferta ad un corpo sempre più esausto che nessun politico, nessuna amministrazione riesce a rianimare anche se armati delle migliori intenzioni.

Essere napoletani (soprattutto se si vive lontano) significa avere impresso un indelebile tatuaggio nell’anima. Lo ha spiegato molto bene lo scrittore Erri De Luca.

Leggendo gli articoli sull’incendio della Città della Scienza, mi hanno colpito in particolare quelli di Ermanno Rea (“Brucia tutta la città” su Il Manifesto) e di Camillo Langone (“Dovevano bruciarla prima” su  Il Foglio), ambedue pubblicati il 7 marzo.
Ermanno Rea conosce bene Bagnoli. E’ infatti l’autore del bellissimo libro “La dismissione” che racconta l’agonia dell’Italsider ma è anche un personaggio scomodo per la sinistra cittadina  perché con “Mistero napoletano” squarciò il velo su una consolidata iconografia che individuava nel monarchico Achille Lauro il solo responsabile dello sfascio cittadino nel secondo dopoguerra. Rea invece ha avuto il merito di mostrare quanto le spinte conservatrici interne del Partito Comunista fossero altrettanto corresponsabili del mancato sviluppo di Napoli. Nell’articolo sul Manifesto, Rea innanzitutto si sofferma sull’inadeguato spazio che televisioni e giornali hanno dato alla notizia dell’incendio doloso e poi punta dritto al cuore del problema: “Sono trascorsi 23 anni dal giorno dell’ultima colata avvenuta nell’acciaieria (fu eseguita dagli operai con le lacrime agli occhi, come si conviene in una cerimonia funebre). Poco meno di un quarto di secolo durante il quale non si è riusciti a dare un volto nuovo all’area né a disinquinarla completamente, stringendo così Bagnoli nella morsa di una dismissione senza fine, che dura ancora e di cui il rogo della Città della Scienza costituisce l’ultimo agghiacciante episodio (cui altri seguiranno, come escluderlo in un paese in cui il principio della responsabilità individuale e collettiva è stato bandito da secoli?)”.

In questi 23 anni si sono succedute le più svariate amministrazioni comunali, provinciali e regionali (nonché governi centrali) che nel migliore dei casi hanno prodotto progetti rimasti sulla carta, convegni, dibattiti a cui non sono seguite decisioni. Del resto nel paese dove l’autostrada Salerno-Reggio Calabria è una lontana chimera ancora in costruzione da decenni di che cosa dobbiamo meravigliarci? La conclusione di Rea è amara: “La Città della Scienza, fiore miracolosamente fiorito in questa radura disperata, crocevia di turpi appetiti e di violenti di ogni risma, si direbbe che era destinata a fare la fine che ha fatto, e non certo per volontà degli dei, che non esistono: era un’anomalia, una disperata promessa di diversità…..”

Un’altra musica suona invece lo scrittore e giornalista potentino Camillo Langone, di cui ho sempre apprezzato le liriche recensioni enogastronomiche di ristoranti e trattorie non convenzionali e fuori dalle solite rotte dei critici culinari. Il titolo sul Foglio è già volutamente provocatorio: “Dovevano bruciarla prima”. E’ l’occasione per scagliarsi contro una serie di luoghi comuni, di frasi fatte, di lacrime di coccodrillo fuori tempo, per infilzare esponenti della sinistra che hanno costruito le proprie fortune sulla Città della Scienza. Ma anche Langone tocca un altro nervo scoperto: “La Città della Scienza si dichiarava eccellenza ma era una poveraccia che non pagava gli stipendi, che non pagava i fornitori, che non pagava nessuno nella migliore tradizione partenopea e parte italiana……L’Italsider pagava lo stipendio a 7 mila operai mentre loro non riescono a pagarlo a 160 dipendenti (anche di meno, secondo il consigliere di amministrazione Pietro Greco, e nella discrepanza numerica si manifesta il groviglio di fondazioni e sottofondazioni, una più indebitata dell’altra, incomprensibile perfino a chi è preposto ad amministrarlo).  Alcuni lavoratori avanzano 4 mensilità, altri ne avanzano 16: anche lo stato ha tradito l’impegno minoritario del 30 per cento e deve alla Città della Scienza 7-8 milioni. E pure la Regione Campania che doveva 2 milioni ha chiesto di accordarsi per 800 mila e non ha versato nemmeno quelli”.

La conclusione di Camillo Langone è altrettanto amara: forse se tutti avessero onorato gli impegni presi i capannoni sarebbero stati dotati di sistemi antincendio efficienti, materiali ignifughi all’altezza della necessità vigilanza adeguata.

La lettura di questi due articoli  ci porta ad una conclusione. E’ necessario ricostruire la Città della Scienza, una opportunità per una città in ginocchio ma anche una risposta da dare senza esitazioni al malaffare che nei fatti si sta sostituendo allo Stato nel controllo del territorio facendosi beffa delle istituzioni. Ma deve anche essere una occasione in tempi di crisi di buona amministrazione per tutti i tutti i soggetti coinvolti, evitando sprechi, garantendo posti di lavoro e stipendi. Insomma la distruzione e la rinascita della Città della Scienza come metafora di una nuova Napoli che vuole uscire dall’eterna emergenza. Credo che i napoletani siano stufi delle belle e inutili parole di cui i politici inondano i mass media sull’importanza della tutela della cultura e poi assistere inermi allo scempio dell’antica Biblioteca dei Girolamini (dove i preziosi volumi vengono rubati per arricchire le librerie di ricchi appassionati) o vedere minacciato il patrimonio librario dell’Istituto di Studi Filosofici costretto ad un avventuroso trasloco dalla sede principale. Ma prima di tutto bisogna vigilare affinché  la camorra non partecipi con proprie imprese alla ricostruzione della Città della Scienza. Insomma, se non ora quando?


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