Rai. La marea precaria del servizio pubblico

0 0

di Gianni Montesano*
“Mi hanno detto che non possono fare un contratto a una del ’42. Mi è caduto il mondo addosso. E’ vero che ho settanta anni, ma lavoro per la Rai da più di venti anni, praticamente senza interruzione, anno dopo anno. Ed ora mi ritrovo con la mia età, senza pensione, con i miei problemi personali e un’azienda che mi considera da rottamare”. Daniela  Bendoni sa di essere un caso estremo, ma nemmeno tanto, in quello strano mondo che è la televisione pubblica. Sull’estremo opposto troviamo una fascia enorme di “professionisti” tra i trenta e i quaranta anni, tutti formati in azienda, che stanno passando dai contratti a tempo determinato alla partita IVA o che lavorano solo con questa. E’ l’altra faccia di viale Mazzini, quella di una enorme bacino di precariato che riguarda più di duemila persone, il venti per cento della forza lavoro. Con loro una valanga di cause di lavoro che si ammucchiano nell’ ufficio legale che spende quanto basterebbe a  mettere tutti in regola e tirare una linea su un andazzo che va avanti da troppo tempo.

Quella di Daniela è la storia tipica dei “tempi determinati”. Un lavoro di qualità presso una delle reti televisive, una specializzazione elevata e continuata per anni.  Un lunga e infinita serie di contratti TD. Ogni anno sosta per un mesetto e poi si riparte. “Da una parte senti dire che le donne devono andare in pensione a settanta anni; quando invece  hai bisogno di lavorare le porte si chiudono tutte”. La rottamazione della forza lavoro qualificata parte in verità molto prima. Se sei un over cinquanta sei un “vecchio”, a meno che non siedi un qualche illustre CdA o poltrona istituzionale, e questo vale dappertutto.

Sull’altra sponda sta crescendo a dismisura in Rai il fenomeno delle partire Iva, il blocco progressivo dei contrati a tempo determinato  costringe i precari fare fattura. Così è nato Iva Party, un network che raccoglie  il malcontento serpeggiante e che si unisce alle tante altre sigle ribelli della Rai, come   “IndigneRai” o  “UniRai” , che a volte fanno a pugni con i sindacati ufficiali altre volte riescono a coagularsi in iniziative di lotta come i recenti sit in sotto la direzione generale. “Il problema nostro – dice uno dei promotori – è che chi lavora a partita Iva si trova in una situazione di estrema fragilità e ricattabilità. Non possiamo parlare, non possiamo criticare, non possiamo rivendicare. In caso contrario salta il lavoro e quei pochi soldi che porti a casa.”

Qualcuno li ha chiamati “i fuochisti” di viale Mazzini.  Sono giovani intelligenze, creative e innovative  che, come i fuochisti delle vaporiere a carbone, fanno muovere la macchina di tante produzioni Rai, spesso proprio quelle a maggiore contenuto di servizio pubblico (che  sono quelle con minori appalti esterni).

Una concentrazione elevate si trova nel settore radiofonico. “Una situazione fuori controllo” dice il nostro interlocutore di cui non citiamo il nome per ovvie ragioni. “Moltissimi di noi fanno un lavoro giornalistico, ma guai a provare ad introdurre la qualifica, ti ritrovi fuori in un batter d’occhio”. La frustrazione serpeggia nei corridoi di via Teulada e nelle altre sedi dove il precariato abbonda. Sino allo scorso anno insieme ai sindacati sono stati portati avanti, accordi di bacino che, con fatica e non poche contraddizioni, hanno garantito un percorso di assorbimento per i precari TD di lunga data.  Adesso con le partite Iva la musica cambia e si rischia di andare tutti a casa. Per questo motivo stanno pensando  ad una sorta di “class action”:  una ondata di vertenze che abbiano un filo comune. Un modo per dire “noi esistiamo”.   Un paradosso per un’azienda che spende milioni in star strapagate e una pletora di figure dirigenziali di alto livello.

I numeri del  2011 dicono che la Rai ha  11.410 dipendenti  a tempo pieno e 1723 atipici.   317 sono i TD  stabilizzati lo scorso anno mentre venti persone sono state assunte  in seguito a vertenza. All’appello sfuggono le partite iva. I contratti TD sono individuabili: Co.co.pro.,  programmisti-registi, contratti tempo. I “liberi battitori” invece no. Fluttuano  e si confondono nel mare magnum delle consulenze e delle prestazioni professionali di cui, giustamente, una grande azienda ha necessità.  Con la riforma Fornero si stanno chiudendo ulteriormente gli spazi di lavoro. I meccanismi di stabilizzazione  per le cosiddette partite iva fittizie (80% del lavoro svolto continuativamente con la stessa azienda, stesso luogo fisico dove si presta l’opera) si trasformano in boomerang in quanto si allungano i tempi tra una “commessa” e l’altra e si frena progressivamente sul loro utilizzo. “Per noi è difficile anche entrare nelle redazioni o negli studi. Prima ci hanno tolto il tesserino annuale. Poi ci hanno tolto il tesserino a tempo. Noi lavoriamo tutti i giorni,  dalla mattina alla sera, ma quando arriviamo all’ingresso dobbiamo ogni volta chiamare il nostro referente per avere il pass d’ingresso.  Una umiliazione continua”.

Così cresce la tentazione delle vie legali. A viale Mazzini si calcola che negli ultimi dieci anni circa un quinto del personale sia stato assunto in seguito a cause di lavoro.  I numeri più recenti  parlano di 1309 vertenze aperte nel 2010 con una tendenza all’aumento (ma Rai resta chiusa a riccio e non fornisce dati).  Eppure il solo costo delle vertenze basterebbe a stabilizzare tutti i precari. L’azienda è tenuta a  fare ricorso ad avvocati esterni e le tariffe delle decine di studi legali che seguono le cause non sono certo ferme ai minimi tabellari. Si stima  che  la spesa annua per le sole vertenze di lavoro sia di circa cinque milioni di euro. Soldi che vanno via tra bolli e parcelle   e che servono a portare  ostinatamente fino in fondo vertenze che nell’80% dei casi si concludono a favore dei lavoratori. Con la stessa cifra si potrebbero regolarizzare tutti i precari (comprese le P.Iva)  dando un segnale forte di cambiamento; ma questo riguarda le scelte che i nuovi vertici faranno sul  capitolo della spending review  interna.

*tratto da Pubblico del 18 ottobre 2012


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21