Sergio Endrigo: per non dimenticare la memoria

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La critichiamo continuamente, da utenti e da dipendenti, pretendiamo da lei sempre il meglio. Le contestiamo il canone, i conduttori, la qualità dei programmi, il CDA, le sue variegate scelte. L’abbiamo definita negli anni ‘un carrozzone’ alla deriva. Eppure, la storica azienda Rai, amata/odiata, è sempre l’unica – tra le infinite proposte televisive – ad avere ancora vivo il senso e l’importanza della memoria. Così non è difficile scorgere, tra i numerosi programmi di Raiuno, la più generalista della famiglia, frammenti scelti di un passato glorioso che diversamente finirebbe nel totale oblio. Attori, cantanti, giornalisti, protagonisti di grande levatura della politica, della letteratura, della società, ritornano a vivere sugli schermi ricordandoci il loro peso nella cultura italiana, l’apporto alla nostra storia recente: storia che è fondamentale ripercorrere per dare nuova linfa al futuro. Non è da dipendente che parlo, ma da spettatrice.

Recentemente una puntata di “Techetechete”, punta di diamante della memoria di cui solola Raiè capace, ci ha riproposto, tra gli altri, uno dei personaggi più amati della musica italiana: Sergio Endrigo.

Ho condiviso quella puntata con mio padre e, nell’incanto di un montaggio sapiente (sia benedetto il lavoro di programmisti registi e degli assistenti che passano ore a ricercare tra il prezioso materiale conservato!), ho scorto le lacrime di commozione di un settantenne che quelle immagini, quelle vecchie puntate di Senza Rete e Canzonissima, da cui erano tratte le sequenze, le ha viste in diretta, le ha apprezzate da subito per la sua genuinità. Gli occhi lucidi di mio padre in quelle immagini hanno riconosciuto gli anni della sua maturità, della sua forza fisica, di una società che – nel bene e nel male –  lo rappresentava appieno.

“Queste sono le nostre canzoni – mi ha detto guardando fisso Endrigo sullo schermo piatto – le canzoni che ci facevano sognare, che ci hanno accompagnato mentre lavoravamo sodo per costruire un futuro per voi figli.  Sono anche le canzoni che cantavamo con voi figli. Avevamo tante speranze… Forse non abbiamo fatto abbastanza, ma siamo stati capaci anche di produrre cultura, divertimento sano e insufflarvi capacità critica, ambizione, valori.”

Non ho potuto fare a meno, dopo questo episodio, di riflettere su quante ore passiamo a ‘ricordare’ chi siamo stati e cosa siamo stati capaci di fare nel passato, su quanta ambizione conserviamo per migliorare la nostra condizione. La forza di reagire a questo tempo infausto e di crisi profonda, deve arrivarci da lì – penso – dal peso della memoria.

La memoria serve, sì, a non ripetere gli errori del passato, ma anche a prendere forza dai valori che abbiamo fatto nostri nel sacrificio, nell’impegno, nell’onestà. Dobbiamo attaccarci alle nostre radici più valide, come querce alla terra, se vogliamo affrontare insieme e con coraggio questo futuro incerto che ci tormenta. E non appaia riduttivo pensare che il ricordo di una canzone, di una poesia, di un saggio giornalistico, di un programma televisivo, di pezzi e fatti della nostra storia sia ingrediente fondamentale per ri-progettare il nostro benessere.

La memoria è bene comune che va condiviso, ma quanto spazio le diamo realmente nelle nostre iniziative culturali? Quanti personaggi vengono ricordati per quello che meritano davvero? A quanti artisti scomparsi diamo placo e platea, rivisitazioni e voce, aree di discussione? C’è una ‘attualità’ sconvolgente, spesso, nella produzione artistica di certi personaggi. Non possiamo dimenticarli perché sono morti. Col loro corpo fisico non muore l’eredità culturale che lasciano. E poiché il mio campo di interesse è da sempre la musica, non posso evitare di riflettere su quanto ‘spazio’ dedichiamo ancora  a Luigi Tenco, a Sergio Endrigo, a Fabrizio de André, a Lucio Dalla… qui ‘cavalieri’ della canzone d’autore di cui tanto amiamo riempirci la bocca nei nostri articoli.

A sette anni dalla morte di Endrigo, Simone Cristicchi, che ha dimostrato fin dagli esordi un profondo legame con la memoria storica, dalla sua cover band “CiaoRino” (dedicata al repertorio di Rino Gaetano) al Coro dei Minatori di Santa Fiora, fino al suo recente e fortunato “Li romani in Russia”, ha pensato bene di omaggiare Sergio Endrigo proponendo versioni orchestrali dei suoi brani più noti (da “Aria di neve” a “L’Arca di Noè” a “Era d’estate”, “Teresa”, “Io che amo solo te”). Cristicchi, accompagnato da un’orchestra sinfonica di cinquanta elementi, si esibirà in una cornice straordinaria, quella della Cascata delle Marmore, a pochi passi da Terni, dove Endrigo riposa accanto alla sua amata moglie, dal 7 settembre del 2005.

Di recente, la diffusa notizia che lo storico ‘Premio Endrigo’   (‘dedicato a nuovi cantautori le cui canzoni abbiano elevate qualità musicali e contenuti letterari di spessore tali da poter essere avvicinate alla vena musicale e poetica del grande cantautore istriano’) non si sarebbe più tenuto mi ha fortemente allarmata.

Alla vigilia di questo concerto-omaggio, che proprio il 7 settembre si consumerà nel Belvedere inferiore (piazzale Byron) della Cascata delle Marmore, alle ore 21.00, approfitto per contattare la figlia di Endrigo, Claudia. Voglio ricordare Endrigo con lei, voglio approfittare della sua memoria, per capire approfondire  – forse in modo inconsueto, come è questo stesso articolo – qualche aspetto della personalità di Endrigo sul quale soffermarsi a riflettere o a sorridere o a commuoversi… come mio padre.

Claudia, so bene che potremmo stare delle ore a parlare di tuo padre… Mi preme chiederti chi è per te Sergio Endrigo come artista, innanzitutto, e come padre, poi!
Sergio Endrigo è stato ed è un grandissimo artista italiano ancora a dire il vero poco conosciuto, il grande pubblico conosce solo una piccolissima parte della sua produzione ma, ahimè, è tutto in mano alle case discografiche e quindi non posso fare granché. Spesso quando pubblico su FB qualche canzone meno conosciuta la gente rimane piacevolmente sorpresa…e mi dice “Ah questa non la conoscevo, bellissima”. Come padre…Il nostro è stato un grande amore. Papà, poi, avrebbe voluto una famiglia numerosa, ma mia madre era di tutt’altro parere. Ci siamo amati tanto. Papà mi ha trasmesso l’amore per il mare, per il cibo e molte altre cose, ma soprattutto una curiosità continua e un’apertura mentale ed emotiva verso il prossimo. Poi ci sono state incomprensioni, anche piuttosto importanti, ma trovo sia assolutamente normale.

Sono passati sette anni dalla scomparsa di papà. Il grande pubblico, ma anche gli “addetti ai lavori”, appresero della sua lunga malattia solo al momento della morte: una riprova della grande riservatezza di Endrigo, del suo garbo, della sua delicatezza, della sua capacità di rispettare gli altri (perché tacere una propria malattia è una forma di rispetto). Come avete vissuto quei momenti e, se c’è stato modo, come vi siete congedati tu e papà?
Cara Antonella,  gli addetti ai lavori non si interessavano più di lui già da molto tempo…Papà non sapeva della sua malattia. Abbiamo deciso di non dirglielo di comune accordo con i suoi medici.  Purtroppo, si era capito subito che non c’era niente da fare e niente da combattere. Quei sei mesi sono stati durissimi, perché dovevo rassicurarlo e tranquillizzarlo. L’ho viziato come farebbe una nonna con un nipotino. Gli cucinavo tutte le cose che amava di più, lo coccolavo, lo lavavo, lo facevo ridere…fortunatamente non ha sofferto. Piano, piano ha cominciato ad avere sempre più sonno e gli ultimi due giorni, fortunatamente, era incosciente. Dormiva, io ero accanto a lui e ad un certo punto mi sono accorta che non respirava più…

Quale eredità morale ti lascia papà e di quali responsabilità ti sei fatta carico, in questi anni, perché il ricordo di Sergio Endrigo cantautore e musicista fosse sempre vivo, a prescindere dagli spazi che televisioni e stampa gli hanno dedicato?
Non lo so esattamente, ma so di essere fortunata ad avere avuto un padre così. Ho cercato di fare il possibile perché venisse ricordato. Ho combattuto, mi sono arrabbiata, ma poi ho capito che tutte le cose devono avere il proprio corso. Posso solo dirti che la gente, tanta gente, ancora lo ricorda e lo ama e questo mi gonfia il cuore di gioia.

Un aneddoto di papà che non hai mai raccontato?
Credo di averli ricordati tutti. Forse, uno tenero, era quando raccontava di mia nonna Claudia, sua mamma, una volta che papà aveva vinto una piccola somma – non ricordo nemmeno giocando a cosa – e mia nonna gli aveva detto in veneto: “Mi no g’ho mai vinto niente.” E mio padre: “Mamma ma ti g’ha mai giocato?”. E lei: “Mi? Mai!”

Nel luglio scorso Simone Cristicchi ha voluto rendere omaggio a Sergio Endrigo con un grande concerto al Teatro Romano di Fiesole. Tra pochi giorni, alla cascata delle Marmore si ripeterà questo evento. Da chi nasce questo progetto?  Come hai conosciuto Cristicchi?
Non ricordo assolutamente quando e come ho conosciuto Simone, però so che me ne sono “innamorata” strada facendo. E’ un uomo eclettico, estremamente intelligente e curioso e per me è un grande artista, oltre che un amico. Il concerto al Teatro romano di Fiesole è nato da un incontro tra Mario Setti della “Nuovi eventi musicali” e Simone, ed è stato un esperimento riuscitissimo con venti minuti di standing ovation e non so quanti bis. Invece la serata di Terni è stata organizzata da “Terni Città Futura”  e dall’Assessorato al Turismo del Comune di Terni. Il legame con la città di Terni si deve alle origini di mamma. E infatti sia mamma che papà sono sepolti nel cimitero appunto di Terni.

Vogliamo parlare del Premio Endrigo? Mi pare di capire che quest’anno ci siano difficoltà nell’organizzarlo. Mancanza di fondi anche in questo caso, come per il Tenco?
Preferirei non parlarne…

Ma secondo te, Claudia, tuo padre … no mi correggo   volutamente … il cantautore Sergio Endrigo è stato ricordato abbastanza? A te, come piacerebbe che fosse ricordato l’artista Sergio Endrigo?
Ricordato abbastanza? Chiaramente no. Credo sia l’unico artista scomparso da sette anni del quale non sia ancora uscito un cofanetto come si deve, un platinum collection o una biografia, che credo alla fine scriverò io. Sarebbe bellissimo poter rivedere magari a puntate tutto il materiale che hanno le Teche Rai che so essere immenso! Io stessa ne conosco pochissimo. Mi piacerebbe poter riascoltare le due ‘Ave Maria’ di Schubert e Guinod incise nel 1962. Sono due versioni semplicemente splendide e non le conosce quasi nessuno!!!

Da quali musicisti italiani hai avuto adesioni e solidarietà nella tua opera di mantenere viva la memoria di tuo padre?
Devo dire, da moltissimi musicisti. Sono rimasta piacevolmente stupita di quanto fosse amato e stimato da tanti eccellenti colleghi, da Cammariere, a Paoli, alla Mannoia a Battiato, a Cristicchi ovviamente, ma anche Zero, Claudio Baglioni e potrei andare avanti coi nomi all’infinito, anzi mi scuso in anticipo con i colleghi che ho dimenticato, ma sono davvero tantissimi.

Mi piace ricordare con te uno spettacolo molto poetico di Barbara Amodio dal titolo “Nel mio perimetro di sole”, interprete quel meraviglioso cantante’attore che è Gianni De Feo,  in cui si ripercorre la storia di Sergio Endrigo. Ripercorrendo la storia artistica di tuo padre, quale pensi siano stati il suo momento migliore e la sua tristezza più profonda? Il suo perimetro di sole di quanta luce ha goduto?
Bellissimo e particolarissimo! Gianni de Feo è stato splendido sia nell’interpretare il testo di Barbara Amodio che le canzoni di mio padre, ma….pare non sia interessato a nessuno. Il perimetro di sole di Endrigo, anzi i suoi momenti più felici, sono stati gli anni del grande successo, del suo amore per mamma, della mia nascita, la casa a Pantelleria, la mia infanzia a Mentana in campagna con Bardotti e Bacalov e le loro famiglie, le grandi mangiate, le partite a ping pong. Sono cresciuta a pane e musica e che musica sulle ginocchia di Vinicius De Moraes. Mio padre se l’è goduto tanto quel periodo, ma poi sono iniziati i problemi economici, la sua sordità da un orecchio…l’oblio…nonostante continuasse a fare album magnifici come “Mari del sud” o “Qualcosa di Meglio”…

La poetica di Endrigo ha attraversato molte espressioni dell’anima: amore, malinconia, saudade, ironia, seduzione, allegria, ingenuità.. Credo che a tuo padre non sia mai mancato un candore bambino – che, forse, gli veniva da quelle sane letture di Salgari e del Corriere dei piccoli con cui era cresciuto e l’amore per Ibsen con cui è maturato nel gusto della teatralità  …candore che lo portava a inventare storie delicate, creare veri e propri sogni musicali, a materializzare emozioni nelle sue interpretazioni che ci commuovono anche a distanza di anni. Quali “altre emozioni” di Sergio Endrigo – mi approprio del titolo del suo ultimo album – non andrebbero mai lasciate al buio dell’oblio?
Mi fa piacere che tu lo chiami poeta. Papà sorrideva e quasi si imbarazzava quando lo chiamavano così, ma leggendo i suoi testi ti accorgi che è vero. “Altre Emozioni” poi, scritta con Vincenzo Incenzo, non riesco a non commuovermi quando l’ascolto, è quasi un testamento spirituale. Papà, sì, è vero che era rimasto un po’ bambino, a volte era così ingenuo che mi arrabbiavo perché era troppo facile ferirlo…

Poiché sei un’animalista e che ami in modo speciale i cani, ti partecipo di una battuta che mi ha fatto stamattina un collega napoletano. “Ieri il cane mi ha guardato e mi ha schifato!”. Siamo arrivati al punto di fare pena pure agli animali, dunque. Secondo te, di momento storico così difficile per la musica e per la cultura tutta, cosa direbbe tuo padre?
Sai.. la morte di papà mi ha profondamente cambiata. I grandi dolori o le perdite possono incattivirti o migliorarti. Io credo e spero di essere migliorata, ma questo mi ha imposto inevitabilmente dei limiti, sono diventata incredibilmente selettiva  e questo mi porta ad una specie di isolamento…la gente, la maggior parte della gente mi annoia, è banale, scontata, si lamenta… si lamenta di questa Italia che va a picco e poi però mette da parte i soldi per andare a vedere gli europei. Sono sessant’anni che siamo “vittime consenzienti” dei vari governi, e la gente va coi tamburelli a manifestare, ma non si ribella davvero…Quindi perché lamentarsi? E poi ormai siamo diventati un popolo di imbecilli, oggi a qualsiasi ora del giorno e della notte in tv ci sono esperti che ti dicono come devi mangiare, parlare, fare l’amore, relazionarti coi cani, respirare….che tristezza….fanno bene i cani a “schifarci”: ce lo meritiamo. Il mondo è pieno di splendida musica, ma oggi va per la maggiore il mediocre perché in quello ci si può identificare. Zero personalità…e va bene così. A me, però, decisamente no.  …

Claudia, mi permetto un’altra nota personale e, visto che sei una  creativa come papà, ti invito a un gioco. Come Alberto Sordi e Sergio Endrigo, sono nata il 15 giugno. E me ne vanto da anni. Il film che ho amato di più di Sordi è “Un Borghese piccolo piccolo”. La canzone che ho amato di più di Endrigo è “La Casa”, che trovo il massimo esempio di costruzione di un sogno, ovvero di come i sogni siano indissolubili dalla follia e dalla immaginazione viva e libera… Una casa-non casa, ma “bella davvero, in via dei Matti numero zero”… è genialmente invitante. Il gioco è “continua tu”: Un borghese piccolo piccolo, in Via dei Matti numero zero……
Oddio, mi metti in seria difficoltà! Adoravo e adoro Alberto Sordi e in questo film ha dato l’ennesima prova di essere un attore grandioso, con un’espressività incredibile capace di farti piangere dal ridere e dalla tristezza, un grandissimo. Pensa che anche papà era orgoglioso  di essere nato il suo stesso giorno. Hai ragione: i sogni sono follia e indispensabili per la nostra sopravvivenza, ma non so continuare, non sono un artista…anzi, sì, lo sono…ma solo in cucina!!! [ ride]

Va bene, allora confidando in tuo invito a cena, la concludo io, appropriandomi della poesia di Endrigo. Un borghese piccolo piccolo, in Via dei Matti numero zero,  “Lontano dagli occhi” di “Teresa”, sogna “Mari del Sud” nell’ “Aria di Neve”.
Ah, ah, ah! Mi piace.

Ah dimenticavo, Claudia. Considerate le tue origini istriane, che ci vuole per fare una buona Jota?
Ci vuole.. un fiore! Nella cucina, come nella musica, ci vuole sempre un fiore… e tanto amore e tanta grazia e una buona dose di memoria per ricordarsi tutti gli ingredienti.

(la foto di Sergio e Claudia Endrigo per gentile concessione di Claudio Scarpa)


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