Assad, l’ultimo piano

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Il più famoso, e meritatamente, dei mediorientalisti europei, Robert Fisk, durante la guerra civile libanese si raccomandava sempre con i suoi colleghi della redazione centrale di Londra di accludere ai suoi articoli delle cartine geografiche senza le quali, assicurava, capire i conflitti mediorientali, e in particolare la guerra civile libanese, non era possibile. Alle volte erano fatte da lui.
In queste ore, le ore in cui i rappresentanti degli insorti di Siria arrivano a Mosca per negoziati forse decisivi, di certo importantissimi, le ore nelle quali gli stessi insorti hanno fatto circolare l’indiscrezione più importante, “siamo pronti a marciare su Damasco con un esercito di 30mila uomini”, è importante seguire l’indicazione di Robert Fisk e spiegare perché la battaglia per Damasco, importantissima, potrebbe non essere l’ultima, ma il piano di fuga e salvezza di Assad per funzionare ha assolutamente bisogno di Mosca.

Nella prima cartina la mezzaluna verde indica l’area della montagna degli alawiti, la comunità degli Assad, del suo regime, dei suoi generali. Lì gli uomini del regime potrebbero pensare di asserragliarsi, creando una sorta di stato, una “ridotta”.
Eccoci così alla seconda cartina: spiega che questa idea non è il frutto di una fantasia, ma una lettura e spiegazione della cartina degli scontri più sanguinosi che si stanno verificando da mesi, da quando cioè il regime ha cominciato a perdere la capacità di mobilitare ingenti quantitativi di truppe e quindi di controllare il territorio. E’ da allora che Assad ha cominciato a pensare a crearsi questa “ridotta” alawita, come ultima ipotesi di sopravvivenza. Ma una ridotta deve essere “pulita”, non devono esserci cioè sacche, villaggi, abitati dalle altre comunità, in primis sunniti. E così ecco la pulizia etnica, le feroci battaglie di queste settimane, di questi, da Homs a Ildlib.

Inoltre una ridotta ha bisogno anche, se non soprattutto, di vie d’accesso e di comunicazione, e questo spiega l’importanza strategica decisiva del porto di Tartus, dove i russi hanno una loro base navale militare. Senza Tartus la ridotta alawita, chiusa tra gli unici confinanti sunniti e quindi ostili, la Turchia e il Libano, come sopravviverebbe? Da dove potrebbero arrivare gli indispensabili aiuti? Era lo stesso problema che si ponevano i crociati ai loro tempi, e infatti fortificarono i porti del Levante per comunicare con i loro paesi d’origine europei e crearono all’interno, nei punti più alti e strategici, fortezze come il Krak dei Cavalieri, capaci di controllare e bloccare possibili aggressioni dall’interno, dalla piana sunnita.
Questa cartina, questa spiegazione geografica, rende evidente perché oggi Assad, se dovesse perdere Damasco, non avrebbe necessariamente perso tutto, avrebbe ancora la sua ridotta alawitia, ma non potrebbe illudersi di tenerla senza l’appoggio di Mosca, che assai più di Tehran potrebbe tenerlo in vita dal porto di Tartus. E’ a Mosca dunque che si gioca la partita, decisiva.

Ma se Mosca davvero teme una Siria sunnita perché questa potrebbe dare l’ok ad una pipeline capace di collegare il Qatar con la Turchia e quindi di portare il gas dal Qatar in Europa, togliendoci dal monopolio russo, la ridotta alawita servirebbe gli interessi di Mosca? Sarebbe sufficiente a impedire il temuto progetto?


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