Genova e gli stupidi emuli
passato senza alcun futuro

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Non so come sia nato il crudele verbo “gambizzare” per “ferire alle gambe”. Fu certo una creatura del giornalismo rampante e tragico di quei laceranti anni ’70-’80. Nella mia Genova di allora nacquero anche i “Cronisti d’assalto”, proprio per rincorrere i “gambizzati”… quasi quotidiani -per un certo periodo- da parte dei “brigatisti”. L’assurdo che si rincorreva anche nel linguaggio. E nei comportamenti. Genova “Capitale delle Brigate rosse” -bugia storica- rincorreva gli eventi senza molto elementi, allora, per riuscire a decrittarli. Con gli assurdi del caso nella escalation della violenza rivendicativa e “rivoluzionaria” di allora. Prima gli incendi alle auto dei capi reparto delle grandi industrie, poi i ferimenti, le gambizzazioni, per arrivare si sequestri e, infine, gli assassinii.

Esordi nell’assurdo di quella quotidianità irreale in cui eravamo costretti, appunto, le gambizzazioni. Non ho memoria precisa e non ho voglia di archivio. Ma due spunti, due ricordi, mi restano indelebili. Il primo, semicomico nei dettagli, il ferimento del professor Fausto Cuocolo, esponente di spicco della Democrazia cristiana, docente severo di diritto. Bersaglio probabile, allora. Tanto che lui, precisino come sempre, si portava nella cartella un provvidenziale laccio emostatico. Sperando appunto che tirassero verso il basso. Gli fu utile. Andò molto peggio, come conseguenze, all’amico Carlo Castellano, anomalo dirigente iscritto al Pci, gambizzato in malo modo, tanto da avere ancora oggi problemi di deambulazione. Non tutte le Br sapevano sparare.

Come nel caso dell’allora mio vice direttore al Secolo XIX Vittorio Bruno che, uscito a tarda sera dall’allora redazione di via Varese fu bersagliato da sei colpi e ferito solo ad una mano. La parola che correva in redazione non fu mai scritta in un titolo. L’attualità dell’Ansaldo oggi, mi riporta all’Ansaldo antica. Fu sequestrato ad Arenzano, ponente di Genova, l’allora capo del personale di cui non ricordo il nome. Ritrovato la mattina dopo incatenato e impiastricciato di Bostik, nella discarica di Recco, a Levante. Dettaglio nel dettaglio di azioni violente ma allora contenute e quasi goliardiche, il mio piccolo scoop dello scoprire e -purtroppo per lui- di scrivere che era sposato con la sorella di Claretta Petacci. Quella del Duce. Per sua fortuna le Brigate rosse non lo sapevano.

Purtroppo l’aneddotica quasi scherzosa si ferma qui. Poi i sequestri e gli omicidi. Il giudice Sossi, l’armatore Costa, la strage di Salita Santa Brigida -provocazione e tre passi dalla Camera del Lavoro- con l’assassinio del magistrato Francesco Coco e dei due uomini della sua scorta. Di loro ricordo ancora oggi i cognomi: Deana e Saponara. Onore a voi dimenticati. Poi fu orrore e guerra totale. Con la follia di chi, nella memoria distorta di una guerra partigiana lontana, cercava giustificazioni alla propria ideologia affermando «Né con lo Stato, né con le Brigate rosse». Ma la stragrande maggioranza della classe operaia genovese non fu con loro. Per poi convincere tutti, sino all’ultimo stalinista sopravvissuto, con l’omicidio dell’operaio sindacalista comunista Guido Rossa.

Le Brigate rosse di allora credo di averle conosciute personalmente un po’ tutte. Dopo ovviamente il loro arresto e nel corso degli infiniti processi. Ormai lontano da Genova. Con loro credo di aver saputo esercitare il dovere giornalistico di attenzione per comprendere. Non certo per giustificare. Il giudizio compete ad altri. Memoria personale a cui ancora cedo, è l’intervista fatta per il Tg1 alle “Brigate Rosse”. Il fondatore Renato Curcio, il capo del sequestro e della tragedia Moro Mario Moretti, il capo delle Br perdenti Barbara Balzerani. Era la fine degli anni ’80 e ancora si sparava.   Dissero in Tv che le condizioni politiche per la lotta armata erano cadute. Qualcuno ancora morì, ma ho la speranza -orgoglio personale- che quella dichiarazione possa aver salvato qualche vita.

Ora sulla mia lontana Genova ripiomba un atto assurdo di violenza. Nessun ritorno alle Brigate rosse, ne sono certo. Pista anarchica, dicono gli inquirenti, ed io taccio non avendo studiato più il fenomeno. Certo è che tecnica e modalità del ferimento mi spingono a pensare più ad una banda di scalmanati che ad una struttura clandestina organizzata militarmente. Attendo con ansia conferme. Resta il fatto che, chiunque sia stato, non ha ferito soltanto l’amministratore delegato dell’Ansaldo nucleare. Ha ferito intanto Genova nel suo impegno, pagato col sangue -vedi Guido Rossa- a togliersi d’addosso la falsità di essere stata capitale di quella folle lotta armata. Ed ha ferito assieme la rabbia legittimamente espressa da parte di chi rivendica il diritto al lavoro e alla dignità di vita.

* Globalist


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