E ora Monti vada nel Sud

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S’è parlato, per Mario Monti, del giro del mondo in 180 giorni. Cento più di quelli di Giulio Verne, che non aveva da convincere i suoi interlocutori a far passi avventurosi, quali gli investimenti in Italia. Perciò, pur consapevoli e grati della sua fatica, ci permettiamo di proporgliene un’altra, fra il ritorno dall’Estremo oriente e il prossimo viaggio nel Vicino fra l’intesa sul mercato del lavoro e la catastrofe della Lega Nord: una visita lampo (ma nel senso napoleonico) in Calabria e in altre terre a compartecipazione Stato-delinquenza. Ne chieda, magari, a Bersani. Proprio mentre al “Refettorio domenicano” della Camera si celebravano, ignorati da tutta la stampa, i cento anni dell’Associazione per gli interessi del Mezzogiorno, fondata dal piemontese  Zanotti Bianco per combattere il tracoma e l’analfabetismo dei bambini calabro-lucani, e riconosciuta dai governi degli anni ’50 con la politica di sviluppo del Sud, Bersani si sforzava di convincere la signora Maria Carmela Lanzetta, farmacista e sindaca Pd di Monasterace, a ritirare le dimissioni.
E’ un comune di 3500 abitanti sulla costa jonica del Reggino, dove si captano meglio le emittenti arabe che la Rai. Nove mesi fa (da giorni il sito di Articolo 21 lo ricorda) la ‘ndrangheta le bruciò la farmacia e lei si salvò coi figli; la settimana scorsa le hanno crivellato la serranda di pallettoni. Voleva far pagare le bollette dell’acqua non solo ai vecchi pensionati monoreddito, pretendeva addirittura che i concittadini non tornassero dopo ogni ripulitura a riempire di frigoriferi, televisori, armadi e materassi i greti delle fiumare. Così, dopo un anno alla guida dell’ amministrazione di centrosinistra, s’è dimessa, “non solo e non tanto per le intimidazioni, ma perché non ho gli strumenti per amministrare”.

La ministra Cancellieri, che ha la virtù burocratica di parlar poco (tra le poche virtù di una casta che – scriveva cent’ anni fa in due libri famosi l’accademico di Francia  Faguet –  ha “Le culte de l’incompétence…” “ Et l’horreur des resposabilités”, edizioni Flammarion), sente forse venuta la sua ora, se Monti vuol discutere davvero il problema complessivo del sottosviluppo italiano: che è, come dice Chiara Saraceno, “mancanza di politica industriale”, o, come dice la sindaca di Monasterace, “mancanza di strumenti per amministrare”; non è, come pensa la Fornero, articolo 18, ma è soprattutto dominio della corruzione, come denuncia Passera in sintonia con l’Ocse. Quel dominio significa occupazione criminale dello Stato, lentezza gottosa e complice della giustizia, insussistenza della pubblica amministrazione, che fanno dire a un piemontese interamente diverso da Zanotto Bianco, l’imprenditore berlusconiano Crosetto, che lui non va più ai convegni in Calabria, perché “non so chi mi possa trovare accanto”. Bravo. Chissà che presto non gli succeda di dover rinunciare anche ai convegni nel suo Piemonte, nella Lombardia, nella gentile Liguria dove i consigli comunali di Bordighera e Ventimiglia vengono sciolti per mafia.

Dunque, bisogna che la prefetta Cancellieri e l’avvocata  Severino s’affianchino alla giuslavorista Fornero e a Passera, Barca, Clini e agli altri responsabili diretti dello sviluppo, perché l’orchestra suona con molti strumenti. Di queste ovvietà, quelli di noi sopravvissuti agli anni e alla fine del meridionalismo, sono convinti da almeno mezzo secolo. Contro la droga dell’arricchimento individuale e collettivo, le predicavamo su “Nord e Sud” di Francesco Compagna, e poi con Antonio Ghirelli quando questi, nella sua polimorfica avventura intellettuale, fu chiamato dal milanese Moratti a dirigere a Roma “Il Globo”, che aveva acquistato dalla Confindustria. In sinergia con  Nord e Sud (ricordo per tutti la responsabile dei servizi culturali Rosellina Balbi, altra napoletana di serie A quando Napoli accumulava più cervelli che immondizie), questi temi dell’Europa, della giustizia, dell’amministrazione pubblica, della lotta alla corruzione, alla malavita erano pane quotidiano, via via comune a molti giornali, libri, partiti. Dal cuore salveminiano-crociano di questa cultura si arrivava al migliorismo comunista di Chiaromonte e Napolitano e al forzanovismo cattolico di Donat Cattin. Un’Italia culturale senza confini. Nessuno, per la scomparsa di Ghirelli, se n’è ricordato, tranne Raffaele La Capria. Che ha anche riconosciuto l’errore della giovane generazione postbellica: “Forse troppo semplificando avevamo tutti in mente, da punti di vista diversi, la stessa idea: fascismo uguale incultura. La cultura ci avrebbe portato fuori dall’Era  fascista”. Era lo stesso errore di Croce: “L’Era è fascista, ma il tempo è galantuomo”, prometteva.  In realtà, come ciascuno di noi ha visto e come oggi testimonia il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, malavita e malgoverno non sono guariti col tempo: “La ‘ndrangheta può essere definita una presenza istituzionale strutturale nella società calabrese, interlocutore indefettibile di ogni potere politico e amministrativo, partner necessario di ogni impresa nazionale o multinazionale che abbia ottenuto l’aggiudicazione di lavori pubblici”.

Ma se il tempo non è stato galantuomo, peggio sono stati gli uomini, prima abbandonando l’intervento meridionalistico a malavitosi e politici collusi, poi cassandolo, per rispondere all’indignazione del paese: che intanto al Nord si convertiva alla cultura delle tangenti e delle mani sporche. Oggi però, in una situazione che è paragonabile a quella del dopoguerra in tutti i sensi, si offre a Monti la possibilità che colse De Gasperi sessant’anni fa: riscoprire il Mezzogiorno come motore che, se acceso, rimette in movimento  anche il resto del paese. Quante splendide industrie del Nord si fecero una dignità mondiale con le politiche industriali rivolte al Sud. E’ vero che non c’è è più quella classe dirigente che si chiamava Ezio Vanoni, Manlio Rossi Doria, Pasquale Saraceno, Adriano Olivetti, che avevano riconosciuto per padri Zanotti Bianco, Franchetti, Fogazzaro, Fortunato. Ma oggi che non poca parte del governo è fatta di economisti che certamente hanno studiato il capitolo del “Meridionalismo”, la leadership potrebbe ritrovare quella felice simbiosi politica-cultura che consentì all’umile paese degli otto milioni di baionette e delle scarpe di cartone di diventare la sesta o settima potenza industriale del mondo. Il modello c’è, gli uomini e le donne pure. Perché Monti, riparati o quasi i buchi alle ruote, non prova a riaccendere il motore?  Lui, Passera, la Cancellieri, la Severino ricordino che anche durante il primo intervento nel Sud l’antistato si mosse a pieno ritmo,  dal  separatismo alle cosche; che fu necessario  addirittura l’esercito, che allora serviva anche per la Calabria e la Sicilia, non solo per l’Afghanistan e l’Iraq. E che, soprattutto, non c’era ancora l’Europa di oggi, che potrebbe tenderci la mano per non farci affogare nel Mediterraneo. Come i meridionalisti sperano dall’unità d’Italia.


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