“Roma, eterna finché dura”. Note in merito e  a margine di una maratone teatrale al Teatro Argentina

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Enigma della Sfinge (pena l’ostracismo?). Domanda delle cento pistole. Con quale aggettivo o epiteto cogliere l’ ‘essenza’ millenaria e contemporanea di ‘Roma Capoccia’? Un’Arcadia proletaria in fase terminale- sentenziò il giovane Pasolini in un’intervista televisiva. Una Sirena meretrice e furbastra- sibilò l’inarrivabile Fellini. La grande bellezza ‘inverata’- ruffianeggiò il manierista  Sorrentino prenotandosi il più ambito degli Oscar.

Per quanto ci riguarda propendiamo al monosillabo – “Boh”-  del Moravia più attempato che, in anni lontani e prima di annichilirsene, aveva dedicato alla sua città  una silloge di racconti ‘orgogliosi’,  neo-veristi, reperti di un dopoguerra  mai  finito.

Senza particolari competenze socio-antropologiche, con la spudoratezza di ‘uno che scrive’ in prevalenza  ‘cose di spettacolo’ , tento di affrontare  anch’io, a quarant’anni e oltre dal primo arrivo a Stazione Termini, l’enigma di cui sopra, sollecitato dalla maratona teatrale “Ritratto di una Capitale” appena conclusasi al Teatro Argentina, su iniziativa di Antonio Calbi (nuovo direttore artistico) e del regista Fabrizio Arcuri (consulente).

E dunque, a quale anima ‘attaccarsi’? Con buona pace del tribuno mistico-idealista  Cola di Rienzo (prima metà del 1300) e  dei carbonari (romanoli) finiti alla forca nell’ Anno del Signore’ 1825 (per volontà di Leone XII – come narrato dal celebre film di Luigi Magni),  tutto si può dire di Roma, tranne che sia città passionaria e appassionata. Consistendo infatti il suo imbattibile repertorio di anticorpi nell’impassibilità plebea, curiale, labirintico- burocratica con cui ‘si degna’ di rapportarsi alle utilità del potere mondano. Dunque (per una pluralità di cause e stratificazioni della Storia), città indifferente, anaffettiva, epidermica che – solo ai neofiti- può apparire ‘dono di tolleranza, discrezione, accoglienza umana’.

A fronte di una metropoli che – per eterogenesi dei fini?- si è come incanaglita nella sua condizione di sterile marpiona, sgargiante battona (per chi può e vuol ‘pagare’), ‘tana per tutti’ (come nelle poesie di Valentino Zeichen), su  quella cinta di immane suburra ‘magna e bevi’ ormai divaricata tra l’ esagitazione di quartieri dormitorio e l’occupazione del centro storico dai molti gangli dell’ ‘over e dell’under’  Basso Impero   ruotante fra palloni gonfiati di Palazzo Chigi e plenipotenziari di Ministreri e Partecipate.

D’accordo. Si tratta probabilmente di divagazioni di pertinenza peregrina rispetto alle ‘operette’ teatrali inscenate,  con (complessiva) verve, arguzia, livore fescennino nel “Ritratto di una Capitale”  comprendente  un rosario di ‘sequenze minimali’ spalmate senza affanno in una qualsiasi giornata cittadina , per un “un quadro sociale e politico” che racconta  la Capitale “attraverso 24 luoghi e 24 ore, attraverso le parole e la presenza di 26 autori”: da Franca Valeri a Corrado Augias, da Claudio Strinati a Valerio Magrelli, da Ascanio Celestini a Lidia Ravera. Cui si aggregano ben 60 interpreti di alto profilo, da Leo Gullotta a Milena Vukotic, da Maddalena Crippa a Vinicio Marchioni, da Andrea Rivera ad Anna Bonaiuto.

Consegnando, attentibile e atterribile, l’affresco sfaccettato, disincantato, post-moderno  di una metropoli il cui destino era già previsto bei “Diari notturni” di Ennio Flaiano e dei cari aforismi che, per tanti di noi, sono stati seminario di vita e breviario per le  peripezie (di ordinaria follia?) nel perenne districarsi tra natura e cultura, progetti e attuazione, balneazioni a Castel Fusano   romitaggio  al Terminillo. Il più atroce dei quali (aforismi)  recitava lapidario “Forse col tempo…conoscendoci peggio…”

Inoltrandosi nell’anima di Roma, fra la bellezza dei paesaggi e la trasformazione in città metropolitana,  Calbi e Arcuri inchiodano l’agglomerato e il paesaggio umano  in una sorta di  racconto corale, sincopato, stralunato- tra diffusa violenza e insorgente rassegnazione al peggio. Con qualche freccia  di alleviante surrealismo fuori dai gangheri e involontarie comicità sospese tra ‘il pozzo ed il pendolo’ della provvisorietà ‘a perdere’.                                                        Avvertenza dei curatori . “Al termine della maratona, ogni spettatore avrà la possibilità di potersi costruire uno spettacolo e un taglio del tutto personale seguendo le ore e i luoghi e lui più congeniali”. A me  sono bastate tre ore e mezza in platea-  ed un profondo, massiccio sentimento di congedo con  sgomento:“All’uscita”- come nell’atto unico, molto funereo, di Luigi Pirandello. Mentre era ‘notte sulla città’ come nel più classico della narrativa polar francese.

 

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  Testi rappresentati :    “ L’insaziabile imperatrice” di e con Franca Valeri “Bello come un dio” di Giancarlo De Cataldo “Orfanelli” di Eraldo Affinati   “Squartierati” di Eleonora Danco    “MAS non chiude mai, confessioni di una spia” di Lorenzo Pavolini    “Odioroma” di Mariolina Venezia  “ Tu come stai” di Christian Raimo “Angeli cacacazzi ovvero Ah, come starei bene a vive se fossi morto” di Elena Stancanelli   “Kiss me” di Ascanio Celestini  “La Capitale mancata” di e con Corrado Augias   “Elegia per due sconosciuti” di Francesco Suriano   “Roma Est” di Roberto Scarpetti   “Crossroads” di Letizia Russo   “Santa Passera” di e con Claudio Strinati   “Ritrovarsi in città” di Lidia Ravera  “Il film sbagliato” di Tommaso Pincio “L’arcispedale quando si fa l’alba” di Valerio Magrelli “Flaminia bloccata” di Fausto Paravidino “Altrove” di Paola Ponti   “Il ghetto. Monologo con fantasmi” di Anna Foa “Epifania in borgo” di Giuseppe Manfridi “Schiuma” di Igiaba Scego   “Opinioni di una zanzara tigre a Roma” di Emanuele Trevi     “Scritti corsari-vera” di Andrea Rivera “Row, reluctant and Rome” di ricci/forte   “Alla città morta  / Prima epistola ai romani di e con Daniele Timpano e Elvira Frosini” –

Nella foto: alcuni autori ed interpreti


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