Equo compenso: un promemoria e alcuni chiarimenti

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Il 9 gennaio verrà riunita la Commissione plurilaterale istituita presso il Dipartimento per l’Informazione del Governo, per votare una delibera d’indirizzo per l’individuazione dell’equo compenso. E in questi giorni di ferie è lasciato il tempo ai membri della Commissione per formulare osservazioni e proposte, prima del voto della delibera.  Avendo lavorato a lungo sul tema, assieme ad altri freelance, mi sento quindi in diritto e in dovere di sottolineare che, fin dal marzo scorso, è stata formalizzata una proposta d’individuazione dell’equo compenso, elaborata dalla Commissione nazionale lavoro autonomo della Fnsi. Cioè proprio da quei lavoratori autonomi che il problema della precarizzazione del lavoro giornalistico lo vivono quotidianamente sulla propria pelle.

E’ una proposta che individua l’equo compenso con i parametri di retribuzione dei giornalisti dipendenti (così come prescrive la legge 233/2012) e, in caso di disaccordo, rimanda alle tabelle dei compensi minimi del 2007 dell’Ordine dei giornalisti, rivalutate dell’inflazione. E questa è la proposta da tempo formalizzata al tavolo plurilaterale dell’Equo compenso da parte della Fnsi. Dove però non pare godere di facile cittadinanza, osteggiata apertamente dagli editori, ma anche da una serie di resistenze e distinguo ben difficilmente comprensibili. A meno che l’intento non sia quello di affossare l’equo compenso, o ridimensionarlo e renderlo inutile, o di trasformarlo in una discussione infinita senza sbocchi operativi.

Lungi dal pensare di avere in tasca il libro della verità, mi pare utile esplicitare qui gli assunti sui quali quella proposta d’attuazione è nata e si basa. In modo da fugare possibili equivoci. Ma anche “a futura memoria”; perchè pure quella, nella vita, conta. Di equo compenso, nella Commissione nazionale lavoro autonomo Fnsi, ne abbiamo discusso per quasi due anni, e cioè ben da prima dell’approvazione della legge 233/2012. E ci siamo talvolta anche litigati, fra freelance, non individuando dei parametri convincenti e largamente condivisi.

Ci è infatti alla fine risultato chiaro che stabilire un compenso minimo uguale per tutti era impossibile, perchè altamente soggettivo: ciò che poteva sembrare una conquista epocale per i sottoretribuiti da 3-5-10 euro al pezzo (per esempio ipotizzando 20-30 euro lordi) era tacciato da sottoretribuzione da quelli che, dovendo campare davvero di questo lavoro, combattono duramente per farsi pagare di più. E c’era il ragionevole rischio che a stabilire “per legge” tale importo fisso, inevitabilmente si sarebbero poi livellate al ribasso le retribuzioni oggi maggiori, con il pretesto che “questo è l’equo compenso stabilito per legge”.

Ipotizzare invece un “equo compenso minimo uguale per tutti”, ma parametrato alle retribuzioni più elevate delle testate nazionali, avrebbe probabilmente tutelato gli autonomi oggi meglio retribuiti, ma sarebbe anche stato oggettivamente impraticabile per le piccole testate locali. Ma anche prendere come parametri retributivi le “tabelle” a pezzo per i collaboratori ex articoli 2 e 12 del contratto FIEG avrebbe generato problemi analoghi: inapplicabili o troppo elevate per delle micro-collaborazioni locali fatte anche di “brevi”, e viceversa troppo basse per chi del lavoro di freelance ci dovrebbe campare. Ricordiamoci infatti che quelle cifre tabellari sono lorde, ma di collaboratori inquadrati come dipendenti, e quindi con altri costi (contributi etc.) a carico dell’azienda. Inoltre quelle tabelle vengono spesso aggirate al ribasso dagli editori, considerandole non “il minimo di retribuzione contrattuale”, ma “la retribuzione omnicomprensiva per tutti i pezzi forniti”, o con solo minimi aggiustamenti.

Come Commissione lavoro autonomo siamo infine giunti, dopo un non semplice processo di discussione, alla conclusione che l’equo compenso potesse essere rapportato solo (e in proporzione) alle retribuzioni dei dipendenti. Che è poi ciò che prescrive la legge 233/2012. In altre parole: se un freelance lavora full time per 1 mese per una testata, questi deve percepire NON MENO di quanto lì guadagna un dipendente. Anzi: di più, perchè il freelance si assume in proprio vari costi che per il dipendente vengono coperti dall’editore (contributi, malattia, ferie, tfr, tredicesima, rischi, etc.). E se vi lavora per soli 15 giorni al mese, ne deve percepire la metà, e così via. E, secondo la proposta della Commissione Lavoro autonomo, se si lavora per testate diverse, i compensi devono essere sempre proporzionati alla retribuzione del dipendente, a seconda dei rispettivi contratti collettivi applicati (FIEG, USPI, Aeranti-Corallo) e del tempo di lavoro impiegato (1 giorno, 7 giorni, 1 mese…).

Così che, se si lavora tutto l’anno per più testate diverse, alla fine si possa percepire complessivamente la  stessa retribuzione (lorda) di un dipendente. L’applicazione della proposta è poi semplice: per ogni incarico va concordato il tempo di lavoro necessario per il suo adempimento, e quello dev’essere pagato in proporzione alla retribuzione del dipendente. Mentre in caso di disaccordo si fa riferimento al tariffario dell’Ordine dei giornalisti del 2007, rivalutato dell’inflazione (tariffario che, non a caso, anche oggi può essere preso da un giudice come riferimento di congruità retributiva in una causa di lavoro).

In questo modo non si deve impazzire nei conteggi di quante brevi, foto, articoli e rigaggi sono stati prodotti per individuare l’equo compenso: si patteggia solo un tempo di lavoro ritenuto necessario per l’incarico, e quello viene pagato in proporzione alla paga (lorda) del dipendente. Fatta salva la facoltà di patteggiare anche importi più elevati. E il tariffario dell’Ordine del 2007 viene richiamato solo in caso di disaccordo, o per decisione consensuale delle parti (freelance e datore). Il punto forte di questa proposta non sta però solo nella facilitazione dei conteggi, e nella piena aderenza al dettato della legge 233/2012, ma anche nel fatto che soddisfa una condizione posta fin dall’inizio dal Sottosegretario all’Editoria: che non si poteva varare un tariffario dell’equo compenso. Perchè questo sarebbe risultato in contrasto con il decreto sulle liberalizzazioni delle professioni e con le norme europee. E quindi si potevano solo individuare dei “parametri di riferimento”, da cui poter poi derivare il calcolo l’equo compenso.

Bene: la proposta d’individuazione dell’equo compenso formulata dalla Commissione nazionale lavoro autonomo della Fnsi soddisfa appieno tutte queste condizioni.
Viene quindi da chiedersi perchè per mesi non sia mai stata seriamente discussa nel merito in Commissione Equo Compenso. Viene da chiedersi perchè si siano volute percorrere altre strade. Viene da chiedersi perchè i lavori della Commissione sono da tempo visibilmente impantanati. Vengono da chiedersi molte cose.
Ma queste potranno essere argomento di altre riflessioni, a tempo debito. Per ora limitiamoci a chiarire a tutti ciò che prevede la proposta d’individuazione dell’equo compenso formulata dalla Commissione nazionale lavoro autonomo Fnsi. E che ciascuno si faccia la sua idea.
Poi vediamo che accadrà, e ne riparleremo alla prossima puntata…

* membro della Commissione nazionale lavoro autonomo Fnsi, vicesegretario dell’Assostampa Friuli Venezia Giulia

PER APPROFONDIRE:

>> La legge sull’equo compenso 233/2012:

https://docs.google.com/file/d/0B9MDKDFrfuzSSmozRF9iX05SRFU/edit?usp=sharing

>> La proposta d’attuazione della Commissione lavoro autonomo Fnsi:
https://docs.google.com/file/d/0B9MDKDFrfuzSejVvRGMtR1VHamM/edit?usp=sharing


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