L’Isis e le armi chimiche contro i curdi

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Non c’era forse neppure bisogno di prove ma ora che le forze dello Stato islamico, detto ISIS o IS ( che ha sede tra Siria e Iraq) si accaniscono contro un sito archeologico siriano legato all’antica  tradizione cristiana e cattolica in quelle regioni che risale al quinto secolo dopo Cristo, le forze militari degli Stati Uniti che sono tra le truppe avverse al secondo califfato annunciano di avere acquisito le prove dell’uso di gas tossici da parte dello Stato islamico contro i curdi. E da Washington è arrivata anche la notizia dell’uccisione in Iraq di Haji Mutaz, uno dei vice del leader dell’effettivo leader dell’islamismo medio-orientale, Abu Bakr al- Bahgdad in un attacco compiuto con droni (cioè aerei senza piloti) compiuto nei giorni scorsi.

Tracce di iprite (noto anche come gas mostarda) usate dalle truppe islamiste sono state trovate su un frammento di un proiettile di mortaio lanciato dai miliziani contro le truppe curde in Iraq.  Lo ha comunicato il generale Kevin Killea,capo di Warfighting Marine Laboratory Corps, dando notizia di un primo test compiuto sui proiettili che dovrà essere confermato da ulteriori rilievi. Il frammento di mortaio era stato recuperato dalle  milizie curde  che avevano denunciato un attacco dell’IS con iprite l’11 agosto scorso a Makhmour, a cinquanta chilometri da Erbil. Inoltre gli  jiadisti hanno distrutto anche il monastero cattolico di Mar Elian nella località di Al-Qaratian, a sud-ovest di Homs, nel centro della Siria. Lo hanno annunciato gli stessi uomini del califfo al-Bagdhadi che hanno diffuso immagini raggelanti con i bulldozer al lavoro tra le rovine dello storico monastero. Del complesso del monastero facevano parte una foresteria, un refettorio e una biblioteca.

Fonti della sovrintendenza archeologica di Homs hanno riferito dell’esistenza di antichi manoscritti, la cui sorte è per ora sconosciuta. Dopo la conquista della zona intorno al monastero gli islamisti hanno rapito 230 civili,tra cui almeno 60 cristiani, donne e bambini.  Di questi 48 sono stati rilasciati mentre 110 sono stati trasferiti nella provincia di Racca, cuore dello Stato islamico. E non  si conosce il destino degli altri settanta ostaggi.  C’è il rischio di aver paura a registrare e a commentare brevemente le novità che arrivano da quella regione che si colloca appunto tra l’Iraq nell’ormai passato dominio di Saddam Hussein  e la Siria del presidente Al-Sis ma ancora  in preda alla guerra civile interna, in un territorio come quello dello Stato islamico che si estende da Raqqa a Tikrit, con risorse finanziarie che provengono dalle banche di Mosul,dal contrabbando di petrolio e dai riscatti dei rapiti, con un esercito in campo di oltre venticinquemila uomini e una sorta di monopolio del terrore che recluta militanti nelle comunità islamiche e non soltanto in quelle europee.

Ma soprattutto da parte degli osservatori, soprattutto occidentali ed europei,  c’è il pericolo concreto di tendere a  sottovalutare la capacità di espansione, nell’attuale, difficile situazione internazionale, di un fattore politico-religioso che sembra destinato a caratterizzare i prossimi anni senza la speranza ragionevole di una pace prossima e sicura.


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