Con il cessate il fuoco tra la Repubblica Islamica e Israele, imposta da Donald Trump, ha ripreso con più forza la guerra del regime degli Ayatollah contro gli iraniani. Una guerra che con alti e bassi è in corso da oltre quattro decenni e che finora ha causato diverse decine di migliaia di morti. Se nei 12 giorni della recente guerra le vittime degli attacchi israeliani, sia civili che militari, sono stati 627 (dati ufficiali del governo di Teheran), durante la rivolta popolare del novembre del 2019, il governo ha ucciso oltre 1500 manifestanti in soli 3 giorni. Le vittime delle proteste note come “donna, vita, libertà” sono secondo stime ufficiali 540. Forse per questo le vittime dei 12 giorni di attacchi israeliani non impressionano gli iraniani visto che oltre la metà di loro erano comandanti delle Guardie della Rivoluzione (Pasdaran) o altri reparti responsabili di uccisioni e di carcerazione di migliaia di persone colpevoli solo di protestare a mani vuote senza alcuna forma di violenza contro il regime di Ali Khamnei.
Nelle prime 48 ore dopo il cessate il fuoco sono stati arrestate, secondo fonti di Amnesty International, almeno 1000 persone. Dall’inizio della guerra 6 persone sono state impiccate con l’accusa di “spionaggio a favore d’Israele” oppure “collaborazione con paesi nemici”. Tutti si trovavano in carcere da anni e la loro condanna a morte era stata emessa molto prima dell’attacco israeliano. “Condanne emesse in processi ingiusti e sommari soltanto in base alle confessioni degli stessi imputati estorte sotto tortura”, dichiara Mahmoud Amiry-Moghaddam, direttore dell’Iran Human Rights, un’associazione che si batte contro la pena di morte in Iran con base a Oslo, in Norvegia.
Il premio Nobel Narges Mohammadi, attualmente in libertà provvisoria per ragioni di salute, lancia un allarme:questa guerra ha ridotto notevolmente lo spazio per qualsiasi forma di protesta, le strade sono occupate delle forze di sicurezza, gli arresti sono quotidiani evmolti rischiano l’esecuzione.”
Molti prigionieri politici sono stati trasferiti dal carcere di Evin , dopo l’attacco israeliano, in località sconosciute, destando forte preoccupazioni sulla loro sorte. Tra questi Ahmadreza Jalali, medico e ricercatore, arrestato 9 anni fa con l’accusa di “collaborare con il regime sionista” e condannato a morte. Ahmadreza Jalali , con cittadinanza svedese, per un periodo aveva collaborato anche con l’Università del Piemonte Orientale a Novara. Lo scorso 23 giugno il Parlamento della Repubblica Islamica ha modificato la legge sullo spionaggio o collaborazione con Stati nemici, includendo anche attività sui media sociali come forma di spionaggio. Accusa che potrebbe anche comportare la sentenza di morte. Contemporaneamente è stata approvata un’altra legge che vieta l’accesso a internet via satellite, come per esempio l’uso di Starlink, con pene fino a 6 anni di reclusione.