Il termine zeitenwende (“punto di svolta”) è stato più volte evocato dal neo cancelliere tedesco Merz per indicare la forte discontinuità, anche ideologica, rispetto ai 70 anni precedenti che intende dare alla sua azione di governo. Il primo passo è stata la rimozione del sacro principio del pareggio di bilancio scolpito nella costituzione; la relativa modifica è avvenuta in tempi rapidissimi, senza un dibattito nazionale e, soprattutto, è stata decisa dal vecchio parlamento, due giorni prima che si insediasse il nuovo che non avrebbe avuto la richiesta maggioranza di due terzi.
Una volta eliminato il vincolo di bilancio, Merz ha rivelato un piano di investimenti di 1.000 miliardi di euro destinati alla difesa e alle infrastrutture, sostanzialmente stracciando il patto di stabilità europeo di cui la Germania era stata la principale sostenitrice sino ad appena un anno prima. Nel chiosare tale decisioni, Merz ha detto che la Germania è la prima potenza economica e demografica dell’Europa ed è quindi naturale che si avvii a diventare anche la prima potenza militare.
Per comprendere le ragioni di questi radicali cambiamenti può essere utile ricordare che la Germania ha subito nel giro di tre anni un micidiale uno-due che ne ha messo in discussione il proprio status economico e geopolitico. Nel dopoguerra la Germania (Ovest) aveva tratto a proprio vantaggio il sostanziale disarmo che le era stato imposto, riparandosi dietro l’ombrello nucleare americano e aderendo senza esitazione all’Alleanza Atlantica. Nel prosieguo degli anni, dopo aver acquisito un po’ di autonomia, aveva poi alimentato la sua crescita economica approvvigionandosi in misura crescente delle materie prime a buon mercato della Russia. Questa scelta, inizialmente tollerata, era come fumo negli occhi per gli anglosassoni (Regno Unito e Stati Uniti) che storicamente avevano sempre considerato una minaccia la saldatura economica e in prospettiva politica del continente euroasiatico. Non a caso le polemiche sul Nordstream erano sorte almeno un decennio prima dell’invasione dell’Ucraina.
Il fragile equilibrio che teneva assieme la postura geopolitica e quella economica della Germania è saltato con l’avvio della guerra in Ucraina che le ha imposto di sacrificare la seconda, scivolando nella recessione, per salvaguardare (così ritenevano) la prima. Questa scelta non è stata posta in discussione neanche quando i supposti alleati hanno bombardato il Nordstream con il chiaro intento di evitare che in futuro potesse tornare sui suoi passi.
Le illusioni tedesche sono crollate con il secondo avvento di Trump il quale peraltro, con la sua tipica brutalità, ha solo portato a compimento un processo in corso da almeno un decennio. Già Obama aveva segnalato che il centro della competizione si era spostato nel Pacifico, lasciando intendere un progressivo disimpegno sul fronte atlantico. Trump ha dato una forte accelerazione a questo processo, stracciando l’alleanza economica e politica con l’Europa, prima imponendo pesantissimi dazi e poi scavalcando gli europei nella vicenda ucraina attraverso una diretta trattativa con la Russia e con l’ulteriore scherno di prefigurare futuri accordi commerciali sulle materie prime con quest’ultima. Alla fine, sia pure con grande ritardo, i tedeschi hanno preso atto del mutato scenario geopolitico e si sono svegliati dal lungo letargo postbellico.
Nel giudicare l’impatto su di noi dello zeitenwende tedesco, va osservato che mentre sotto il profilo economico almeno nel breve periodo dovremmo giovarci per un effetto di trascinamento dell’enorme piano di investimenti che la Germania si avvia ad attuare, meno positive sono invece le conseguenze sul piano finanziario. La Germania ha attualmente un rapporto debito/PIL di circa il 60%, perfettamente in linea con le previsioni del patto di stabilità costruito a sua immagine e somiglianza. Un incremento del debito di 1.000 miliardi porterebbe il rapporto a poco più dell’80%, un valore ancora invidiabile nel panorama internazionale. L’Italia, con un debito/PIL superiore al 135%, non può neanche ipotizzare di seguire la stessa strada sia pure per importi molto più ridotti, indipendentemente dalla sospensione del patto di stabilità. Alla lunga questo avrà degli effetti non positivi sulla nostra situazione economica relativa a quella della Germania. Nel più breve termine invece il forte incremento della domanda nel mercato dei titoli di Stato dovrebbe determinare un innalzamento generalizzato dei rendimenti che non potrà non deteriorare ulteriormente la nostra già precaria situazione finanziaria.
Infine, sul piano politico il “risveglio” della Germania costituisce un duro colpo alle ipotesi di rilancio dell’Unione Europea con l’accentramento di ulteriori funzioni attualmente di competenza dei singoli Stati. Nell’immediato non è più sul tavolo la proposta, in verità un po’ velleitaria, di un esercito comune. La Germania intende fare da sola con il chiaro intento di riacquisire il ruolo di prima potenza europea e con la prospettiva di far valere i propri interessi sullo scacchiere internazionale. A fronte di questo scenario, non dovrebbe consolarci la circostanza che Merz, nel presentare il suo progetto di investimenti militari, abbia sottolineato che esso “sarà anche nell’interesse degli altri paesi europei”.
*economista ed ex dirigente della Banca d’Italia