Ciò che sta accadendo in America ci riguarda. Los Angeles brucia e non possiamo voltarci dall’altra parte, perché l’attacco qui non è soltanto a uno stato, la California, da sempre ostile alle politiche reazionarie del magnate newyorkese, o al suo governatore, Gavin Newsom, astro nascente dei democratici, e non è rivolto nemmeno ai soli immigrati o ai manifestanti, l’attacco è alla democrazia e ai suoi capisaldi. Non a caso, il governatore del Texas, Greg
Abbott, repubblicano e trumpista, ha mobilitato la Guardia Nazionale per far fronte alle proteste, in un Paese ormai in guerra con se stesso, sconvolto da un conflitto che ne permea le vene, ne brucia la storia e l’identità, ne impedisce il futuro, ne mina le prospettive e ne rende incerta la permanenza nel consesso delle nazioni civili. Un potere fondato interamente sulla forza, infatti, un potere cieco, gretto, disumano e privo di qualsivoglia ragione non può avere un domani. Finirà con il distruggere l’Occidente, con il privarlo di ogni credibilità, col renderlo una sorta di Grande Russia o di Cina in re minore, con l’inevitabile conseguenza di uno scadimento dei rapporti umani e della difesa di quei diritti un tempo ritenuti inalienabili.
Occhio, tuttavia, perché questa barbarie, come detto, è destinata a fare scuola. Lo abbiamo visto a Graz, dove uno studente bullizzato è tornato nella sua scuola e ha aperto il fuoco su chiunque gli capitasse a tiro per vendicarsi dei soprusi subiti. Ventisei anni fa assistemmo attoniti all’orrore della Columbine High School (Michael Moore dedicò alla strage uno dei suoi film migliori), poi fu la volta dell’istituto Virginia Tech (aprile 2007), ora la furia è arrivata in Austria: non siamo più al sicuro.
Attenta, Europa: così non c’è futuro. Se si rompe l’alleanza atlantica, se diventa un mero fatto economico e militare, se smarrisce ogni base politica e valoriale, viene giù tutto e bisognerà reinventarsi un orizzonte di senso per non affondare insieme a una Nazione che sembra aver rinunciato a se stessa.
Quanto all’Italia, neanche noi possiamo stare tranquilli. Basti pensare alla rivolta degli sfruttati di Rosarno nel gennaio 2010, alla violenza dilagante in alcune zone della Campania, alle infiltrazioni criminali nei settori piu fragili della società, alle periferie degradate, ai ghetti abbandonati a se stessi, all’esito del referendum sul dimezzamento dei tempi per far ottenere il diritto di cittadinanza agli italiani di seconda generazione e alla polveriera che è sotto i nostri occhi, acuita dallo smantellamento del Reddito di cittadinanza e delle tutele sociali introdotte dai due governi Conte. Citiamo questi esempi affinché sia chiaro che siamo a un passo dalla deflagrazione di quel che resta del nostro tessuto civico, oltretutto in un contesto nel quale quattro milioni di connazionali (dati odierni forniti dalla Fondazione Gimbe) rinunciano a curarsi per mancanza di risorse economiche.
Del resto, cos’è il Decreto Caivano se non la versione meloniana del trumpismo dilagante? Cos’è la risposta securitaria che investe ogni ambito, dalla scuola alle carceri, e di cui il cosiddetto “Decreto sicurezza” altro non è che la punta dell’iceberg, se non l’adesione del nostro esecutivo al nuovo Statuto del mondo, fondato sulla legge del più forte e sulla soppressione, di fatto, di chi è rimasto indietro?
Guai, quindi, a pensare che da noi non possa succedere, anche perché è già successo. Chirac venne travolto dalla rivolta delle banlieue, non più disposte ad accettare il modello escludente di una Francia che integrava a parole e discriminava nei fatti. Il Belgio ha allevato in seno le serpi che lo hanno colpito con attentati e violenze varie. L’Inghilterra ha conosciuto il disagio profondo del cosiddetto “Londonistan”. In Germania, più volte, abbiamo assistito ad automobili lanciate a tutta velocità contro cittadine e cittadini inermi. Insomma, ribadiamo, nessuno può sentirsi al sicuro. E non sarà la caccia al migrante, la politica dei respingimenti, l’esaltazione dei fili spinati, dei muri e delle barriere e salvarci da noi stessi e dal nostro Spleen esistenziale. Non sarà la crudeltà di governanti inadeguati a rendere meno acuto il nostro malessere. Il trumpismo, il muskismo e il dominio della tecnocrazia sulla ragione, sul consenso, sulla condivisione e su tutto ciò che in altre stagioni avremmo chiamato “politica”, questo disastro epocale, al contrario, ci conduce nel baratro. Se vuole avere un avvenire, pertanto, la sinistra deve affidarsi a meno proclami, meno slogan, meno frasi fatte, meno battaglie di retroguardia e concentrarsi, invece, su un piano complessivo per alleviare l’ingiustizia sociale dilagante, culla di tutti i fascismi, i nazionalismi e i cedimenti alla ferocia con cui ormai sembriamo esserci rassegnati a convivere.
Sosteneva Antonio Gramsci: “Mi sono convinto che anche quando tutto è o pare perduto, bisogna rimettersi tranquillamente all’opera, ricominciando dall’inizio”.
Ripartire dai fondamentali, fare opposizione sul serio, prepararsi a governare domani e, soprattutto, non arrendersi. Con meno di questo, l’ideologia di Guantánamo, propria del trumpismo, diventerà anche la nostra. Ma se perdessimo l’anima e diventassimo come loro, sulle due sponde dell’Atlantico, il concetto stesso di umanità diverrebbe obsoleto.
