Non è solo uno scontro fra due personalità esuberanti. Quello fra Elon Musk e Donald Trump è una profonda frattura politica all’interno del mondo MAGA (Make America Great Again) che cova da tempo sotto la cenere e che mette a repentaglio il futuro politico del trumpismo.
È lo scontro fra due mondi: i “paleo MAGA” contro i “tecno MAGA”.
I primi sono i populisti, gli eredi del “Tea Party”, i supernazionalisti che vogliono ridare voce agli uomini bianchi della classe medio-bassa e poco istruita. I cosiddetti “forgotten men”, gli uomini dimenticati dallo sviluppo globalista guidato dalle élite democratiche. Il loro vessillifero è Steve Bannon, che non ha mai sopportato Elon Musk. Per prima cosa, Musk non è nato negli Stati Uniti. Colpa grave per un movimento dichiaratamente “nativista” (più diritti a chi è nato qui, basta con l’accoglienza). In più, il patron di Tesla impiega nelle sue aziende migliaia di ingegneri indiani che, secondo Bannon, rubano il lavoro agli americani.
In realtà, Musk non è il solo a farlo. Il permesso di lavoro per lavoratori speciali stranieri (H1B visa) è utilizzato da tutte le grandi aziende hi-tech negli Stati Uniti: Amazon ha 3.871 dipendenti nati all’estero e entrati negli Stati Uniti con quel tipo di visto, Google 1.058, Tesla 742. Il 78 per cento degli impiegati delle aziende della Silicon Valley è di origine straniera.
“Abbiamo scelto il nome Tesla per le nostre auto – aveva detto in passato Musk – in omaggio a Nikola Tesla, un immigrato (era nato in Croazia) senza un penny in tasca cui dobbiamo il predominio americano in campo elettrico. L’America è diventata grande negli ultimi 150 anni grazie alla meritocrazia – aveva detto all’epoca Musk – mi batterò fino all’ultima goccia del mio sangue perché rimanga la terra della libertà e dell’opportunità.”
E ancora, in maniera più brutale: “La ragion per cui sono in America e qui ho costruito Tesla e SpaceX è grazie al visto H1B (quello per il permesso di lavoro a stranieri). Andate a fottervi (testuale). Andrò in guerra per questo.”
In passato, Steve Bannon era stato costretto a battere in ritirata di fronte a un Trump “sedotto” da Musk e schieratosi apertamente al suo fianco. La seduzione non era solo questione di fascino: Musk è il capofila della cosiddetta corrente dei “tecno MAGA”, gli imprenditori dell’high-tech che hanno riversato miliardi nella campagna elettorale di Trump. Solo Musk si calcola abbia sborsato 290 milioni di dollari. Ma, una volta finita la campagna elettorale, il presidente americano ha cominciato a sopportare sempre meno l’invadenza di Musk e degli altri tecno-oligarchi.
E quando è stato il momento di approvare la legge di bilancio, ha cominciato a tagliare i ricchi finanziamenti statali alle industrie high-tech. Musk, il cosiddetto re della libera impresa, succhia in realtà un fiume di soldi dallo Stato americano. Un piccolo elenco: 22 miliardi di dollari di finanziamenti federali per SpaceX, 11 miliardi di dollari dalla NASA, 6 miliardi per StarLink, 11 miliardi federali per Tesla, più altri due miliardi per sviluppare batterie elettriche a spese dello Stato.
Facile per Bannon sparargli a zero a nome dell’americano medio: “Bisogna nazionalizzare tutte le imprese di Musk e deportarlo in quanto immigrato illegale”, è arrivato a proclamare Bannon.
“Un ritardato allo stato puro” – gli ha risposto Musk.
Lo scontro continua a salire di livello di ora in ora. Trump annuncia di volersi disfare della lussuosa Tesla che aveva presentato in pompa magna alla Casa Bianca, Musk evoca materiale scottante sulla partecipazione di Trump ai festini sessuali con minorenni organizzati dal miliardario amico di Trump, Jeffrey Epstein (poi morto in carcere).
Ma al di là del clamore di un conflitto personale che prima o poi avrà un punto di caduta, la frattura politica fra le due anime del movimento trumpiano è profonda. Sempre che i democratici, che in questo frangente restano a osservare divertiti ma silenti, riescano a riprendersi dal coma nel quale sembrano essere sprofondati dopo la sconfitta di Joe Biden.