Le quarantadue pagine di motivazioni con le quali il Tribunale di Roma argomenta la condanna in primo grado ad otto mesi di carcere a carico del Sottosegretario Andrea Delmastro per rivelazione di segreto d’ufficio sono un macigno sulla compatibilità tra Delmastro e l’Istituzione che rappresenta, cioè il Ministero della Giustizia. Bene hanno fatto la on. Serracchiani e l’on. Fratoianni a chiederne le dimissioni.
Due sono i rilievi più gravi: quello di avere indirettamente messo a repentaglio le attività investigative nei confronti di quei boss mafiosi captati nelle loro conversazioni con Alfredo Cospito, visto che l’aver adoperato pubblicamente, tramite il sodale di partito Giovanni Donzelli, le relazioni di servizio riservate ha sicuramente messo in guardia pure i mafiosi in carcere, i quali da quel momento hanno avuto la prova di essere intercettati al di là del monitoraggio ordinario che avviene per i detenuti al 41 bis e quello di non essere credibile nel dire di aver frainteso la natura riservata di quelle relazioni di servizio essendo, il Delmastro, laureato in Legge, avvocato penalista, sottosegretario alla Giustizia e parlamentare di lungo corso. A meno di ammettere contemporaneamente (aggiungo io) di essere la persona meno adatta a ricoprire quel ruolo di Governo. Ma non pare che Delmastro abbia ritenuto di trarla questa ovvia conseguenza.
Questo episodio è l’ennesimo della serie: l’abuso di potere come cifra dell’agire politico della destra degli “eredi-al-quadrato” (del Duce e di Berlusconi).
La relazione del DAP è riservata? E chissenefrega! Se serve ai “miei” per sputtanare gli avversari, va usata e boia chi molla (infatti pare che Delmastro sia stato aiutato nel momento del bisogno anche dai più fidati dirigenti all’interno del Ministero)!
Guai a stupirsene ancora e soprattutto guai a pensare che questa cifra sia una questione “caratteriale” dell’ardimentoso Delmastro, che resta pur sempre quello della “intima gioia nel sapere che dietro i vetri oscurati dei mezzi della Penitenziaria noi togliamo il respiro ai detenuti”. No: non è una specifica delmastriana, ma è per l’appunto l’epifania della cultura eversiva, illiberale, incostituzionale di chi disprezza la democrazia parlamentare e pluralista, con tutti i suoi limiti, i suoi bilanciamenti, tesi a far convivere come valore le differenze ed a difendere il diritto dalla forza della maggioranza (temporanea).
La medesima epifania avuta ieri con l’attacco sferrato dalle colonne de Il Giornale contro il Presidente dell’ANAC Busia, reo secondo Felice Manti, di essere un “grillino” nuovamente all’assalto di Palazzo Chigi, soltanto per aver ricordato nella sua relazione annuale al Parlamento che a causa delle nuove norme sul contratto pubblico oltre il 98% dei lavori viene deciso per affidamento diretto e che questo meccanismo opaco finisce per scaricarsi sui lavoratori “anello debole” del sistema. Un vero sovversivo questo Busia nell’Italia del “me ne frego”! Il sospetto è che per Delmastro&C., in fondo, il Parlamento resti una “Aula sorda e grigia” che prima o poi dovrà diventare un “bivacco di manipoli”. Bisognerebbe sempre tenerlo presente, per evitare che la sottovalutazione finisca col diventare stupida complicità.