Quando fu assassinato Pasolini, Alberto Moravia, il giorno dei funerali, esclamò che era stato ucciso un poeta e che alla fine del secolo sarebbero stati in pochissimi a potersi fregiare di questo titolo. Già, perché i poeti sono rari: anime candide, spesso ignorate, per lo più incomprese da una società intrisa di materialismo e cultura dello scarto. Nel caso di Gaza, invece, vengono addirittura imprigionati e uccisi perché anche loro, al pari dei giornalisti, costituiscono voci scomode, occhi e orecchie che vedono e sentono per poi denunciare, come possono, il genocidio in corso. Un giorno gli storici si interrogheranno sul martirio di Gaza e nessuno di noi potrà sentirsi assolto, perché noi c’eravamo, abbiamo visto, abbiamo saputo e, nel caso dell’Unione Europea, ci siamo voltati dall’altra parte, come se la barbarie del 7 ottobre potesse giustificare tutto ciò che è accaduto in seguito. Anche in queste ore, mentre si prospetta la morte per fame di circa quattordicimila bambine e bambini, mentre c’è una ragazzina di dodici anni che pesa appena dodici chili, mentre i più piccoli cercano un tozzo di pane fra le macerie e i rifiuti, anche in queste ore, dicevamo, non si sente, da parte dell’Europa, alcuna effettiva condanna né si parla di sanzioni nei confronti di Israele né ci si interroga su come intervenire concretamente affinché i camion pieni di aiuti umanitari in coda al Valico di Rafah possano entrare all’interno della Striscia, superando un blocco che sa di sterminio.
Noi non abbiamo altro mezzo che il nostro lavoro, e abbiamo deciso di usarlo. Da qui l’idea di intervistare Mario Soldaini, uno dei tre autori (gli altri due sono Antonio Bocchinfuso e Leonardo Tosti) di una raccolta di poesie, “Il loro grido è la mia voce. Poesie da Gaza” (Fazi Editore), che ci restituisce in versi il dramma di un popolo ma, al tempo stesso, il suo desiderio, ormai disperato, di non arrendersi.
In questa conversazione è racchiuso il nostro bisogno di “odiare gli indifferenti”, ora più che mai.