Il 24 maggio a Venezia contro il massacro di Gaza

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Sono decine di migliaia, tutti curiosi, tutti vestiti in maniera strana, tutti “foresti” per la città eppure così affamati di notizie. Sono i turisti che ogni fine settimana come un fiume in piena percorrono la Strada Nuova e “atterrano” in campo Santi Apostoli, cioè l’inizio del centro del centro storico veneziano.

E proprio qui, sabato 24, dalle 9.30 in poi, li aspetteranno i giornalisti e gli attivisti che hanno risposto alla chiamata di Articolo 21, Fnsi – Sindacato regionale veneto e Ordine dei giornalisti del Veneto insieme per chiedere la fine degli omicidi mirati compiuti dall’esercito israeliano  contro i colleghi e le colleghe che – in un’area bellica chiusa alla stampa internazionale – cercano di raccontare ogni giorno i massacri cui è sottoposta la popolazione civile da due anni da parte dei militari guidati dal premier Netanyahu. Oltre 200 quelli assassinati dai militari, 390 i feriti, 49 quelli rapiti e rinchiusi in prigioni militari senza alcuna accusa né tantomeno processo.

Una guerra terribile, una carneficina organizzata che il mondo dovrebbe ignorare se un gruppo di coraggiosi reporters non compisse ogni giorno il proprio lavoro: raccontare al mondo intero cosa sta succedendo nella striscia di Gaza.

A Venezia sabato 24 ci saranno striscioni bilingui e volantini double face in italiano e inglese per spiegare il dramma nel dramma che i colleghi e le colleghe palestinesi stanno vivendo all’interno dell’immenso mattatoio in cui i militari di Tel Aviv hanno trasformato la striscia, territorio che ha visto morire in pochi mesi decine di migliaia di donne e bambini e i sopravvissuti rischiare la strage per fame dopo il blocco degli aiuti decretato dal governo israeliano.

Ma soprattutto la fine di pratiche inumane applicate ai conflitti, i bombardamenti decisi da algoritmi che aumentano la “accettabilità” delle morti di civili innocenti come “danni proporzionali”, la spietatezza del calcolo politico elettorale nell’aumentare il pugno di ferro contro donne e bambini.

Un “gorgo nero” contro cui i giornalisti devono levare per primi la loro voce di dissenso, perché sarà impossibile chiedere il rispetto del diritto a informare ed essere informati se stiamo in silenzio davanti a quanto sta avvenendo a Gaza.


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