C’è un popolo che quasi nessuno conosce: è costituito dalle tante persone normali che hanno ricevuto, a sorpresa, una telefonata da papa Francesco. Sarebbe interessante conoscerlo questo popolo per capire quanti siano innanzitutto e perché il papa li abbia chiamati e cosa del suo modo di essere sia emerso nel corso di quel colloquio. E siccome l’abitudine a chiamare personalmente, senza usare centralini o segretari, risaliva ai tempi del suo lavoro in Argentina, mi sono formato l’idea che costoro, i destinatari delle sue telefonate private successive alla sua elezione, siano stati un po’ i suoi parrocchiani, quelli con i quali proseguiva il suo lavoro pastorale. Bergoglio, un arcivescovo che tutti sanno che a Buenos Aires andava da una parte all’altra della città in metropolitana, non poteva farne a meno di questo lavoro, di questi contatti, come aveva bisogno dei suoi amici personali, quelli con i quali era in contatto da tempo.
Pochi giorni dopo la sua elezione un suo amico di Buenos Aires, direttore di una Ong argentina che si occupa di difesa dei diritti umani, Gustavo Vera, si è trovato sulla segretaria telefonica del suo telefono mobile un suo messaggio: “Ciao Gustavo, sono Jorge. Volevo farti tanti auguri per il tuo compleanno. Un abbraccio”. Gustavo Vera, ben consapevole della vera notizia contenuta in quel fatto, l’ha subito rilanciata sul sito della sua associazione, allegando il sonoro: non era normale in quei giorni, a fine marzo del 2013, ricevere una telefonata dal papa, anzi, trovare un suo messaggio sulla sua segreteria telefonica. Aveva talmente ragione che la notizia fece presto il giro del mondo. Uno stile “umano” entrava a San Pietro, uno stile nuovo, sino a quel momento impensato. Una nuova idea di “papa”, essere umano come noi ma soprattutto ancora pastore pur nelle nuove condizioni di vita. Queste telefonate erano dunque la conferma di uno stile, la prossimità, molto lontano da quello che mi aveva fatto percepire un cardinale. Questo porporato mi disse che quando gli passavano Giovanni Paolo II, che lo chiamava per motivi inerenti alla sua attività lavorativa, lui usava quei pochi secondi che servivano per averlo in collegamento per alzarsi in piedi, e rispondere al papa così, dritto come un corazziere, come riteneva doveroso: non seduto al suo tavolo da lavoro, o in poltrona.
Tra i primi a raccontare delle sue telefonata con il papa c’è stato il giornalista, suo amico da anni, Lucio Brunelli, a lungo vaticanista del Tg2. Sono racconti godibilissimi ma anche importanti perché nel loro rapporto di amicizia queste conversazioni erano abituali prima dell’elezione e lo sono rimaste anche dopo. Ma se il papa sapeva che chiamava un amico, non sapeva come e dove lo avrebbe trovato. Così una volta è successo che, d’estate, Brunelli dovesse correre in balcone in abiti succinti, dicendo “Santità buona sera”, per non farsi sentire dagli amici presenti ma con la possibilità che sentissero bene i vicini, e che lo vedessero mentre parlava, così curiosamente abbigliato, con il papa che ancora non molti conoscevano per le sue innovative consuetudini. Ma se questi sono i suoi “amici”, che tali sono rimasti, poi ci sono quelli che definirei “i parrocchiani” di Francesco, quelli con i quali una o tante volte ha costruito la sua nuova dimensione di pastore, nelle sue nuove condizioni di vita.
Molte sue telefonate, non a caso, sono a vittime, a chi è venuto a sapere che ha avuto un grave lutto, o un grande dolore. Sono tantissime quelle note, ma una colpisce in modo particolare. Ho letto di 102 telefonate al fratello di un imprenditore pesarese ucciso il 4 giugno 2013 con sette colpi di pistola. 102 telefonate… Lui, Michele Ferri, fratello della vittima Andrea, era diventato amico di Bergoglio, con la madre è andato a trovarlo a Santa Marta. Il flusso di telefonate è cominciato così, come conforto umano, e lui, durante l’ultima malattia di Francesco, ha voluto raccontare al Resto del Carlino che sperava proprio di risentirlo per la Pasqua, di ricevere la 103esima telefonata dal papa, vivo. Probabilmente non ha avuto la voce, la forza per farlo.
È questo un modo nuovo di intendersi “Pastore” mentre vivendo a Santa Marta non poteva più andare in giro in metropolitana, a incontrare i raccoglitori di cartone o gruppi di prostitute, una vicinanza che evidentemente gli serviva per vivere. Ma Rita Pavone, che gli aveva regalato il suo nuovo libro, l’ha chiamata per ringraziarla. La telefonata a Rita Pavone non era però un obbligo, poteva andar bene un biglietto di ringraziamento. Per molti dei tanti che scrivono al papa, negli ultimi anni, c’è stato un biglietto pronto, che comincia con la scritta di suo pugno: “caro fratello” o “cara sorella”. Ma la telefonata a Rita Pavone era destinata a diventare nota? Per me lui non ci ha pensato, senza escluderlo lo presupponeva possibile.
Ha scritto il Corriere della Sera:
La cantante racconta uno scambio di battute. «Gli ho detto: “Lei è arrivato al momento giusto: sta portando qualcosa che mancava alla gente, in un momento che è molto difficile, triste, brutto per l’uomo, un momento di crisi”. E lui – racconta- mi ha risposto con una frase bellissima: “In tutti gli uomini, anche nei più cattivi, bisogna andare a cercare, perché in tutti, in fondo, c’è uno sprazzo di bontà, spesso è nascosta ma bisogna trovarla.”»
Diversa è la telefonata al penitenziario di La Prata, visto che venne diffusa con l’altoparlante:
Mi hanno detto della grande voglia che avete di andare avanti, di continuare a lottare. Ricordatevi, non c’è cosa peggiore che un giovane sia un pensionato anzitempo. La vita ha bisogno di tutti voi. I problemi esistono per essere superati, e non per lasciarsi schiacciare da essi. Un giovane deve sempre guardare in avanti con speranza, gioia, con la faccia sempre allegra, mai triste.
Sono tutte telefonate diverse, ma ce ne saranno altre migliaia. Ci si può chiedere perché in molti abbiano deciso di rendere note queste conversazioni: probabilmente perché hanno sentito qualcosa di speciale, di cui dargli atto; una vicinanza, o forse il bisogno di Bergoglio di essere connesso con il mondo. Qualche nome più noto di altri avrà anche pensato di farsi pubblicità, ma questa opportunità gliela ha offerta lui. Intendeva lui stesso farsi pubblicità? Non penso, ma la notizia avrebbe solo confermato che c’è un altro modo per essere pontefici. Non confermare il vecchio stile della separatezza tra il papa e gli uomini, ma rafforzare la sua riforma, umanizzare il papa, e soprattutto restare sé stesso, uno spirito libero.
Nella sua biografia, Spera, Bergoglio ci dice che la sua famiglia era politicamente orientata verso il partito radicale in Argentina. E una volta a casa, durante una discussione con uno zio che contestava la politica dei peronisti e sosteneva la leadership allora impegnata a suo avviso per i ceti umili, lui gli disse: “ma tu cosa fai, personalmente, per i poveri?”. Nel volume emerge chiaramente un collegamento tra questo suo modo di pensare e quello della Porota, una ex prostituta che conosceva da ragazzo e che lo ritrovò telefonicamente quando era vescovo ausiliare di Buenos Aires. Lo andò a trovare e gli disse che dopo aver fatto di tutto con il suo corpo ora voleva aiutare i corpi abbandonati da tutti, gli anziani di cui non ci si prendeva più cura. Mia sorella invece, aggiunge la Porota parlando con lui, anche lei una ex prostituta e da tutti detta la Chiche, stava sempre in Chiesa a pregare: lei la definisce una “succhiacandele” e dice a Bergoglio di dirle anche lui che deve alzare il sedere e fare qualcosa di concreto per i poveri.
Un giorno di ottobre, poco dopo essere stato eletto, Bergoglio ha ricevuto la lettera di un senzatetto di Marghera, il quale gli diceva che anche lui era argentino, e aveva bisogno di aiuto. Don Nandino Capovilla, ricevette una lettera, che conserva:
Era un biglietto del Vaticano, diceva che il Papa voleva dare duecento euro a quell’uomo, e con un giro di parole, spiegava che il denaro era proprio per lui, che non me lo tenessi». Racconta: «Quella è stata la prima volta, poi ci siamo abituati. Ma non era normale, io stesso non ci credevo, perché si era fidato di una persona che poteva anche aver mentito, millantare denaro e dire “sono povero dammi dei soldi”. È stata questa attenzione alla singola persona, questa cura pazzesca che aveva.