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Champagne amaro per Macron

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Champagne amaro, anzi amarissimo, per il presidente francese Emmanuel Macron. A servirlo per festeggiare il nuovo anno sono stati (ultimi solo in ordine di tempo) i governi di Ciad, Senegal e Costa d’Avorio. Non si sono fatte attendere le rabbiose e scomposte reazioni dell’attempato enfant prodige sul serrato ritiro delle forze armate di Parigi dalle sue (ormai ex) trincee africane. Nel tradizionale discorso agli ambasciatori dello scorso 6 gennaio, Macron ha affermato che alcuni leader in Africa avrebbero “dimenticato di ringraziare la Francia” per il contributo al contrasto del terrorismo nel Sahel rincarando poi la dose poiché “nessuno di quei leader sarebbe oggi al potere se a fronteggiare il jihadismo non ci fosse stata Parigi”.
Le accuse di “ingratitudine” sono state vigorosamente rintuzzate del premier senegalese Ousmane Sonko che ha tuonato: “La Francia non ha né la capacità né la legittimità per garantire la sicurezza e la sovranità dell’Africa, al contrario ha spesso contribuito a destabilizzare alcuni paesi come la Libia con conseguenze disastrose per la stabilità e la sicurezza nel Sahel”.
Le rancorose parole di Macron sono la certificazione della fine della francafrique, la dottrina di sfruttamento neocoloniale applicata per decenni alle sue ex colonie, vissuta oggi con crescente insofferenza e irritazione dalle pubbliche opinioni africane orientate invece ad instaurare relazioni con l’estero variegate e diversificate, senza escludere aperture anche verso la Russia.
Segnali di una rapida e radicale accelerazione si sono registrati in Mali nel 2022 quando per la prima volta le forze armate francesi sono state letteralmente messe alla porta, l’anno successivo ne hanno seguito l’esempio anche il Burkina Faso ed il Niger. Artefici della svolta sono state giunte militari espressioni di altrettanti colpi di stato che hanno portato all’interruzione dei rapporti diplomatici con Parigi trovando accoglienti sponde con Mosca. In precedenza, era stata la Repubblica Centrafricana a popolare di incubi il sonno dei governanti d’oltralpe. A novembre 2024 l’esecutivo del Ciad ha annunciato la fine degli accordi di cooperazione militare e di sicurezza con la Francia in vigore da decenni “come segnale – sottolinea il governo – di una crescente autonomia strategica”.
A dicembre scorso è toccato a Dakar consegnare l’indigesto boccone natalizio a Macron. “Propongo una nuova dottrina per la cooperazione in difesa e sicurezza che implichi la fine di tutte le presenze militari straniere in Senegal dal 2025” ha tuonato il presidente Bassirou Dioumaye Faye.
E all’inizio del nuovo anno si è aggiunto Alassane Ouattara, presidente della Costa d’Avorio, a dare il benservito all’antica potenza coloniale di riferimento. “Siamo orgogliosi del nostro esercito, la cui modernizzazione è effettiva. Per questo abbiamo deciso il ritiro concertato e organizzato dei 600 militari francesi che consegneranno la loro base nella capitale alle truppe ivoriane”.
Va sottolineato che Ciad, Senegal e Costa d’Avorio non hanno interrotto le relazioni diplomatiche con Parigi ma puntano ad un riequilibrio dei rapporti.
Al di là dei problemi “domestici” che affliggono l’amministrazione Macron (nessuna solidità della maggioranza parlamentare espressa dalle elezioni di 3 anni fa, proteste contro la riforma pensionistica, calo di popolarità) e che ne frenano l’influenza politica e militare, è la fine di un’epoca. Agli inizi degli anni ’60 un terzo degli attuali stati africani era colonia francese. Dopo le indipendenze (periodo di massima espansione militare di Parigi), 60 mila soldati francesi erano dispiegati in 90 guarnigioni africane. E meno di due anni fa operavano ancora 7 mila chepì sul continente: lo stesso numero del 1981. Oggi ne restano solo 350 in Gabon. Presìdi armati che garantivano supporto logistico, addestramento e sostegno ai soldati governativi locali fedeli a Parigi ma anche (e soprattutto) per proteggere gli interessi economici della madre patria e dei francesi residenti.
Oggi Macron giustifica la “ritirata” come una scelta strategica finalizzata ad “una ristrutturazione dell’approccio di Parigi al continente africano”. E guarda al Corno d’Africa, focalizzandosi così sull’ area orientale. A Gibuti potenzierà la base navale francese di Héron che diventerà il punto di proiezione per le missioni in Africa, ristrutturandone le finalità fino a ieri orientate invece verso il Mar Rosso e l’Oceano Indiano. Il presidente infine sta consolidando i rapporti con l’Etiopia garantendo il suo appoggio al premier Abiy Ahmed per l’accesso al mare nella contesa che divide Addis Abeba con la Somalia. Il riposizionamento di Parigi non sarà una passeggiata.

Dalla rivista mensile CONFRONTI n.2 febbraio ‘25


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