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Se la fine assomiglia ad un videogioco

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Connessi a morte (Donzelli, pp. 184, euro 15, prefazione di Barbara Carfagna e postfazione di Arturo Di Corinto) è l’ultima fatica saggistica di Michele Mezza, giornalista – tra i fondatori del progetto di RaiNews24 e ora docente all’Università Federico II° di Napoli -, nonché autore di diversi volumi indaganti la linea d’ombra che sta al confine tra i modelli classici di informazione e il cambiamento profondo dei paradigmi inaugurato dall’uso massivo degli algoritmi con una sintassi chiamata (in verità, curiosamente) intelligenza artificiale.

VALE LA PENA RICORDARE che si tratta di una definizione figlia della logica di marketing piuttosto che di un richiamo davvero significante.

Torniamo al bel volume di Mezza, che costituisce una sorta di sequel della puntata precedente (Net-War, uscito per i tipi della stessa casa editrice nel 2022). Il punto di catastrofe, ci dice lo scrittore, sta nel passaggio delle modalità consuete del fare informazione al predominio su software e contenuti della macchina nella sua espansione inaudita, incredibilmente intuita dal famoso frammento sulle macchine dei Grundrisse di Marx. E non per caso il testo ci offre una rivalutazione della teoria di Claude Shannon, l’ingegnere e matematico statunitense che viene considerato il padre della «teoria dell’informazione», centrata proprio sull’intreccio con l’informatica. Nel dibattito infinito sugli effetti sociali dei media si è sottovalutata una verità che invece ora emerge con evidenza ineludibile. L’hardware, il negoziato sulle pieghe futuriste assunte dalla comunicazione (infosfera, per meglio chiamarla), l’individuazione della centralità della contraddizione tra calcolanti e calcolati sono la base di partenza per ogni politica nel tempo che ci è dato vivere.

In controluce sta una predica laica di cui Mezza è da anni protagonista, vale a dire l’incongruenza delle linee pubbliche (e partitiche, per ciò che residua) in merito all’epifania privatistica che ha reso gli oligarchi della rete via via i padroni del mondo. Anzi. Elon Musk (con i suoi orchestrali, cioè satelliti) intende diventare leader di una pericolosa e allarmante nuova destra mondiale, a dimostrazione di ciò che Mezza sostiene qui e ha scritto nelle recedenti fatiche letterarie.

Veniamo al volume. Il titolo è già lo svolgimento delle 168 pagine che racchiudono una sorta di manuale. Se si lotta per la pace, è necessario conoscere cosa sono oggi le guerre.

E da alcuni generali di primissimo piano arriva l’input per capire: il cinese Qiao Lang ne e il russo Gerasimov hanno costruito uno schema – ripreso e approfondito dal Pentagono – profondamente attuale: i conflitti si vincono o si perdono attraverso l’identificazione del nemico, disegnato individualmente attraverso l’entrata in scena della cyberguerra e del dispiegamento delle opportunità pestifere offerte dalla sorveglianza di massa, dal riconoscimento facciale, dal ricorso all’occhio omicida dei droni e dei robot.

Se nell’opera precedente l’analisi si soffermava sul conflitto tra Russia e Ucraina, con il mastodontico esercito di Mosca inizialmente bloccato dalle incursioni telematiche ucraine (Kiev ha al riguardo una notevole tradizione), nell’ultimo volume si parla diffusamente di Israele, di Gaza, del Libano.
Il 17 settembre del 2024, con le migliaia di esplosioni dei cercapersone nelle tasche degli Hezbollah, avrà la stessa forza geopolitica dell’11 settembre del 2001 con il crollo delle Torri Gemelle. Così, il bastone brandito dal leader di Hamas Yahya Sinwar scoperto e ucciso da un drone ci ammonisce che siamo al cospetto di una mobile war, utilizzata tanto per colpire quanto per difendersi: illuminando i particolari per aggredire gli obiettivi; quanto per oscurare le reti avversarie. Sia l’incursione di Hamas in quel tragico 7 ottobre del 2023 sia la macelleria perpetrata dall’esercito israeliano a Gaza sono opera di un ricorso capillare alla struttura costruita con la nuova cassetta degli attrezzi.

ED È PURE IL RIBALTAMENTO dell’ordine degli addendi: il decentramento decisionale e la compartecipazione (attiva o passiva che sia) della società alle routine belliche rovesciano la burocratica soggezione agli apparati centrali lenti e spesso retrogradi.

Certamente, la cosiddetta intelligenza artificiale può (deve) avere sbocchi pacifici e alternativi: tracciamento, geolocalizzazione e profilazione hanno ricadute positive ad esempio nelle cure sanitarie, nella ricerca scientifica e – persino – nella delicata processualità informativa. Se il data journalism è un ampliamento dell’opportunità di verificare le fonti e rappresentare la verità, e non una violazione delle libertà e dell’autonomia professionali. Insomma, è utile leggere un agile contributo, per riaccendere una discussione che andava svolta ieri e che ancora latita.


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