Il Brasile in bilico tra l’alluvione e Madonna   

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Gauchos e cariocas, tragedia e allegria: più che mai doubleface, la cronaca immediata riassume gli opposti stati d’animo del più grande paese sudamericano, offrendone anche un’affollatissima metafora politica. Un milione e mezzo di persone, forse due, sabato scorso hanno reso ancor meno respirabile l’afa di Rio e impossibile muoversi tra l’arenile di Copacabana e le strade che risalgono verso il Corcovado. Madonna, voce, luce, icona madre del pop che ha preceduto la nascita degli influencers inventandoli e ne rappresenta la massima sacralizzazione commerciale, vi ha portato lo spettacolo conclusivo del suo mondial tour Celebration. Il paragone è improprio, ma sui giornali ci sono ancora tracce delle polemiche sull’affluenza ai recenti comizi di Lula e Bolsonaro, passati inosservati al traffico cittadino. Nell’uragano emozionale i cui decibels espandevano la vertigine dal palco sul pubblico che compatto ne prolungava ritmi e danze, Madonna non ha trascurato di ricordare la catastrofica inondazione in atto nel Rio Grande do Sul, mille chilometri più giù, ai confini con Uruguay e Argentina.

La capitale dello stato tra i più prosperi e conservatori del Brasile, Porto Alegre, un milione e mezzo di abitanti (quasi tanti quanti al concerto di Rio), è mezz’annegata sotto piogge incessanti, le maggiori da un secolo. Ci sono molte decine di morti e altrettanti scomparsi. Nel sostegno al governo locale per il salvataggio della popolazione e nel recupero dell’economia regionale, il centro-sinistra del presidente Lula (il suo partito laburista e il vice-presidente Geraldo Alckhim, espressione di settori avanzati della borghesia industriale di San Paolo) si giocherà una parte non minore del futuro politico. L’impegno in difesa di uno sviluppo sostenibile, del medio-ambiente, delle popolazioni indigene minacciate da trasferimenti forzati, contro lo sfruttamento clandestino dei territori (a cominciare dall’ormai arcinota Amazzonia, cornucopia di biodiversità, acqua potabile, minerali), è reale. Ma lento e contraddittorio, per effetto delle mediazioni interne alla coalizione di governo, oltre che della guerriglia parlamentare dell’opposizione bolsonarista, fortissima al Congresso e sostenuta sule piazze dalla galassia delle chiese evangeliche.

Il raduno più recente di Bolsonaro a Rio, non lontano dalla spiaggia che ha ospitato Madonna, è presto finito in un recital di canti mistici, condotti a turno dai diversi officianti della nebulosa dei clan religiosi fondamentalisti che costituiscono la sua truppa di prima linea. La loro saldatura con la milizia politica è essenzialmente ideologica. Si nutre del fatalismo creato da inerzie quotidiane divenute sottosviluppo storico e passa attraverso i micro-rapporti di solidarietà/connivenze delle periferie sociali (che non sempre coincidono con quelle urbane). E’ un mondo appena scalfito dai progressi economici realizzati in questa prima metà di mandato dal governo Lula: aumento dell’occupazione, dei redditi e dei consumi del lavoro dipendente. Nel primo trimestre 2024, sono stati creati 719mila nuovi posti d lavoro (un incremento del 34 per cento): il maggior risultato degli ultimi 4 anni. Riaffermati grazie a nuove leggi i diritti delle donne, dei popoli autoctoni, dei meno protetti, lesionati o ignorati dalla precedente presidenza Bolsonaro.

La politica obbligata dei piccoli passi scontenta entrambi gli estremi della parte meno dinamica della società brasiliana: tanto il grande capitale finanziario e speculativo (l’immobiliare, l’agricoltura del pascolo estensivo, l’export di materie prime finanziano maggioritariamente Bolsonaro e l’estrema destra) quanto il lavoro marginale, tutt’altro che tale nella concreta realtà del gigante sudamericano. Esemplare l’indignazione dei popoli indigeni, alla cui unità d’intenti Lula prima dall’opposizione e poi con i suoi governi ha fornito un insostituibile sostegno. Ma che non lo hanno invitato alla loro massima manifestazione dello scorso fine aprile a Brasilia. Perché il riconoscimento giuridico delle loro terre ancestrali si trascina lentamente e con quasi certezza non sarà completato entro il termine della legislatura come promesso. L’allarme di Lula per la legalità repubblicana, che denuncia l’avanzata dell’estrema destra, del razzismo e delle fratture sociali in tutto l’Occidente, ricordando l’assalto alle istituzioni dei seguaci di Trump nel 2022 e di quelli di Bolsonaro pochi mesi dopo, non sembra sufficiente.


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