Il femminicidio di Meena Kumari stride

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Il femminicidio di Meena Kumari stride. Stride con il fiume di 5000 anime e cuori che, giusto sabato, ha sfilato per le vie di Parma esprimendo un bisogno potentissimo, dal basso. Il bisogno che cominci una nuova era, finalmente, che sorga una nuova alba. Non una di meno.
La violenza mortale contro Meena Kumari risulta come un sonoro schiaffo a un sentire che pubblicamente si è espresso nelle strade. Ma è anche uno schiaffo che fa riaffiorare altre ferite, che ci parla anche di altri problemi come il bisogno di integrare di più e meglio. Lo stesso tema che ci aveva messo sotto gli occhi, due anni fa, l’orrido femminicidio di Saman Abbas,  pakistana di Novellara, uccisa a 18 anni in un’architettura di menzogne e reticenze, solo perché voleva un fidanzato occidentale: la pubblica accusa nei giorni scorsi ha chiesto l’ergastolo per i due genitori, trent’anni per lo zio e i cugini. Il processo è in corso in Assise a Reggio Emilia.
Lo stesso sdegno, raccapriccio ci prende oggi di fronte al sangue di Meena Kumari, che parte dalla comunità di Salsomaggiore ma arriva ovunque e, con la sua dinamica feroce e brutale, rompe un clima che potentemente si sta affermando.
Di fronte a ciò, noi giornalisti e giornaliste abbiamo il preciso obbligo di raccontare e raccontare bene, con le parole e le immagini corrette, tenendoci lontano da ingiusti stereotipi culturali. Non possiamo limitarci a ricostruire le dinamiche, traumatiche e brutali, fermate solo (e purtroppo invano) dalla prontezza e dal coraggio di una carabiniera fuori servizio. Raccontiamo chi è questa donna, Meena, che conosciamo solo nel momento in cui è morta e non ci può più parlare. Ridiamole la voce, dicendo che madre, che nonna è, che gusti o passioni ha, se è loquace o taciturna, se le piace cucinare o leggere o camminare: perché di qualsiasi pasta sia fatta, perché qualsiasi di queste cose sia vera o falsa, nessuna è condizione necessaria è sufficiente per essere uccisi così.
A loro volta, gli avvocati e le avvocate che porteranno il caso nelle aule di giustizia, facciano il primo gesto di giustizia restituendoci chi è la vittima, non solo il ritratto del colpevole. Meena Kumari ha il diritto di rivivere in quelle aule.
Lo stesso compito avranno i parenti, figli, nipoti ma anche la comunità a cui è stata sottratta e che ora si interroga se ci fossero segni per prevenire, capire. Il sindaco di Salsomaggiore, Luca Musile Tanzi, ieri ha parlato di “Pagina triste”, condannando la violenza domestica “male intollerabile”. Giustamente il primo cittadino è colpito da questo femminicidio che segna e sdegna. Ma potrà sempre trasformare Meena Kumari in un emblema della comunità che guida, dedicarle una panchina rossa, farla “parlare” ancora affinché diventi il simbolo di come non bisogna tacere, di come non bisogna girare la testa dell’altra parte, di come non bisogna accettare giustificazioni di comodo solo perchè non è nel nostro cortile.
La politica tutta deve fare un passo in avanti e lo deve fare proprio per la fiumana di gente che sabato si è riversata nelle piazze, a Parma e in tutta Italia.
A Parma, la politica ha raccolto il testimone di quelle rivendicazioni: il corteo, coorganizzato dal Comune, si è concluso in piazza Garibaldi alla presenza del sindaco Michele Guerra, di sindaci e sindache  del territorio, dei rappresentanti della regione Barbara Lori e del governo Laura Cavandoli (che inopportunamente è stata contestata). Altrove la politica si è tenuta lontano dalle piazze, dalla gente, da un sentimento che nasce dalla pancia del Paese e che, proprio per questo, va rispettato, ascoltato, assecondato per evitare che si rompa in maniera definitiva il patto di fiducia tra i cittadini, le cittadine e i loro rappresentanti.


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