Bellocchio e le due famiglie

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Superata l’impasse didascalica (produce anche Rai cinema e passerà su un canale Rai), dal finale del primo tempo in poi Bellocchio realizza uno dei suoi film più compiuti, un autentico capolavoro riassuntivo di una intera poetica. Al centro del suo dire è sempre, inevitabilmente, la famiglia, analizzata con l’altro suo topos narrativo, la psicanalisi, anche qui presente attraverso i sogni dei protagonisti della vicenda messa in scena. Addirittura, Bellocchio raddoppia il suo tema preferito, raccontando, con la vera storia di Edgardo Mortara, le dinamiche di due famiglie, tra di loro contrapposte perchè facce della stessa medaglia (vedi sotto le immagini speculari). La famiglia ebraica di appartenenza e la famiglia cattolica (la Chiesa) di adozione coatta, due realtà sintesi e metafora del concetto più ampio di famiglia tout court. Edgardo, sottratto dalla Chiesa alla prima perchè battezzato senza il volere dei genitori ebrei, dovrà essere educato cristianamente (e Bellocchio qui si rifà ai canoni contenutistici ed estetici del suo “Nel nome del padre”) dalla seconda di cui sposerà i principi fino alla conversione.

Quest’ultima è sincera (memorabile la sequenza di Edgardo bambino che schioda in sogno Cristo dalla croce, libero di andare come l’Aldo Moro di “Buongiorno, notte”), ma rimane il dubbio che nè la famiglia di origine nè la Chiesa lo abbiano mai lasciato libero di scegliere, al punto da portarlo, talvolta, sull’orlo della scissione mentale. Il contrasto tra libertà individuale e ambiente familiare, (in questo caso bi-familiare), inevitabilmente formante, era già alla base de “I pugni in tasca”, il film di esordio di Bellocchio, che con questa sua ultima opera sembra voler accentuare, fino a farla dirompere, una contraddizione irrisolvibile e dolorosa.

In questo senso, il regista piacentino rimanda ad un’altra sua fondamentale opera, “L’ora di religione”, dove il tema dominante era la laicità educativa, vista come miglior viatico per attenuare le problematiche esistenziali sopra esposte. Alla fine, lo sguardo nel vuoto di Edgardo, proiettato verso il pubblico, costretto ad interrogarsi sulla sua condizione, dice tutto sulla sua vicenda dissociante ed impenetrabile.


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