Mi hanno raccontato cos’era la dittatura fascista e per questo aderisco all’Anpi

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Onestà, impegno nello studio e nel lavoro, rispetto per gli altri e antifascismo sono sempre stati valori condivisi nella mia famiglia. Mio padre partecipò alle 4 giornate di Napoli. In quel settembre 1943 aveva da poco compiuto 17 anni, era orfano di padre e doveva provvedere alla madre ed alla sorella più piccola. In città non si panificava da giorni per mancanza di farina ed il cibo era difficile da trovare anche al mercato nero. Così mio padre uscì di casa per trovare da mangiare, a qualsiasi costo: l’alternativa era morire letteralmente di inedia. Gli unici ad avere derrate alimentari erano i soldati tedeschi che occupavano Napoli. Papà mi raccontava che nelle strade del quartiere Vomero si trovò così in compagnia di altri ragazzi affamati come lui, arrabbiati per la guerra che aveva immiserito la gente ma tutti consapevoli di chi aveva la responsabilità di quello sfascio. Tanti giovani lupi solitari senza nessuna organizzazione politica alle spalle, nessuna precisa ideologia se non un generico antifascismo, maturato in anni di noia per i sabati in camicia nera e divise da figli della lupa. Questi ragazzi si ritrovarono casualmente in gruppo (spinti dallo stomaco vuoto) con l’obiettivo di attaccare i depositi di cibo dei nazisti per depredarli. Nessuno di quegli adolescenti possedeva armi né sapeva usarle ma man mano che si imbattevano in pattuglie di due, tre soldati tedeschi che perlustravano le strade, li attaccavano alle spalle con bastoni e pietre, li picchiavano duramente, si impossessavano delle armi, lasciando quei militari nudi e senza scarpe per rallentarne la fuga e quindi le possibilità di dare l’allarme. Una strategia che si diffuse a macchia d’olio e che nella mattina del 27 settembre accese il fuoco della ribellione antinazista che dal quartiere Vomero si diffuse in tutta la città.

I racconti di mio padre erano privi di retorica: la miccia contro l’occupazione tedesca fu innescata dalla fame e dal dolore dei bombardamenti alleati che avevano trasformato Napoli in un cumulo di macerie. Papà ricordava di essere stato sorpreso tempo prima da un bombardamento lungo via Marina nei pressi del porto e di non aver fatto in tempo a ripararsi in un rifugio antiaereo. Raccontava di non ricordare nulla dei 3 giorni passati a vagare senza meta nelle strade, privo di memoria per lo spostamento d’aria che lo aveva travolto e fatto volare in aria, completamente sordo per i boati delle esplosioni, con gli abiti insanguinati, eppure vivo. Qualcuno (ma non ricordava nemmeno chi) lo aveva riportato a casa dalla madre che non ricevendo sue notizie da giorni lo piangeva per morto. Insomma ce ne era abbastanza per dire basta alla guerra ed al fascismo.

Nessun eroismo, nessuna retorica nei suoi racconti, anzi anche il ricordo di quei giovani volti di ragazzi tedeschi terrorizzati dall’improvvisa rivolta di gente che ritenevano pacifica fino al giorno prima.

E poi ricordo i racconti di mio nonno materno, un bravissimo artigiano che proprio non sopportava il sabato in camicia nera. Quando mia nonna si presentava con la camicia stirata a puntino, non riusciva a fare a meno di uscire sul pianerottolo per gettarla a terra, calpestarla e saltarci sopra. Una scenetta solo all’apparenza comica che però registrava l’inevitabile arrivo dei fascisti (avvertiti dai vicini) che portavo il nonno in caserma, trattenendolo per qualche ora e “perdonarlo” dell’offesa. Nonno Antonio si definiva anarchico ma era solo un apprezzato ed instancabile falegname dalle mani d’oro che odiava il fascismo. Fu arruolato e mandato a combattere in Calabria, da cui ritornò a piedi dopo mesi di cammino quando l’esercito italiano si dissolse. Mia madre ne raccontava il ritorno a casa smagrito, muto per giorni prima di riprendere la parola, e talmente privo di forze da rendere difficile anche gli abbracci a moglie e figlie.

Ecco, questi i racconti familiari di quella che è stata la dittatura fascista, l’occupazione nazista e la guerra.

Alla luce di tutto questo ho deciso di iscrivermi all’Anpi (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia), un piccolo gesto di resistenza civile di fronte ai maldestri e pericolosi tentativi di riscrivere la storia da parte di uomini che dovrebbero rappresentare proprio quelle istituzioni nate dalla Costituzione (su cui non dimentichiamolo hanno anche giurato, accettandone dunque la totale legittimità) e dalla Resistenza al nazifascismo. Sono valori ed idee che oggi più che mai vanno costantemente curati, per non farli cadere nell’oblio di una retorica ricorrenza priva di linfa e valori vitali.

Evidentemente c’è chi non ha fatto o non vuole fare i conti con il passato per insipienza, opportunismo o adesione ad una ideologia contraria alla nascita della Repubblica italiana. Oggi è il momento di dire no ad un quotidiano oltraggio a ragione e valori che cresce a valanga in una escalation studiata a tavolino.

Per questo come iscritto all’Anpi e ad Articolo 21 parteciperò alla manifestazione antifascista del 25 aprile che si terrà nel comune di Gualdo Tadino in Umbria.

Lo farò per la memoria di mio padre e di mio nonno.


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