Il 25 Aprile, festa plurale

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Ogni 25 Aprile, alle 9 del mattino, mio padre entrava nel salotto di casa, accendeva il giradischi e metteva un lp di canti partigiani, che ascoltava da solo, in poltrona. Deportato in Germania, perchè a Salò non poterono come avrebbero voluto processarlo, fu condannato a morte, condanna poi tramutata in lavori forzati a vita. Sono felice che nessun politico italiano in tournée visiti il penitenziario dove fu detenuto. Al massimo mi avrebbe fatto piacere che qualcuno andasse a Salò, a chiedersi come sia stata possibile quella ”Repubblica”.

Devo a mio padre anche un altro ricordo. A casa avevamo le sue tessere della Fiap, la Federazione Italiana Associazioni Partigiane nella quale era attivo insieme ai suoi amici, come lui legatissimi a  Ferruccio Parri. Lui infatti era stato nelle brigate Giustizia e Libertà. Papà scriveva per il loro periodico finché c’è stato. Io un giorno, ancora ragazzo, gli chiesi “papà ma voi partigiani non siete riuniti nell’Anpi?” Lui mi rispose “di unico in Italia c’era solo il partito fascista, la nostra è una storia plurale. Anpi, Fiap, e poi sai che di associazioni partigiane ce ne sono anche altre? Conservate l’Italia così.”
Questo connaturato pluralismo lo sento da allora come tutela non attacco alle nostre diversità.

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