Quel bisogno di pace dall’Iraq alla Siria 

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Sono trascorsi vent’anni dal 5 febbraio 2003, quando l’allora segretario di Stato americano, Colin Powell, si presentò all’ONU con in mano una provetta di antrace, inventandosi di sana pianta l’esistenza di presunte armi di distruzione di massa, ovviamente mai trovate, ad opera del regime di Saddam Hussein. Fu lo sparo di Sarajevo, il casus belli per attizzare un nuovo incendio, dopo quello afghano, che nei due decenni successivi ha destabilizzato in maniera devastante la regione mediorientale, favorendo la diffusione del terrorismo e portando la jihad nelle nostre capitali. Ora Powell è morto, ma sta di fatto che nessuno gli abbia mai chiesto conto di quella bugia, come nessuno ne ha mai chiesto conto a Bush, a Blair e a tutti coloro che, sapendo benissimo che si trattasse di una balla, hanno avallato e sostenuto un conflitto le cui conseguenze sono tuttora ben visibili. Del resto, la guerra buona non esiste. Come spiegava il mai abbastanza compianto Gino Strada, nessuna guerra è giusta, rispettosa e positiva, nessuna guerra ha risvolti umanitari, nessuna guerra viene combattuta per fini ideali. La guerra è il male del mondo, un cancro da estirpare, una piaga che inghiotte centinaia di migliaia di vite e distrugge città, villaggi, sogni, prospettive e tutto ciò per cui vale davvero la pena vivere. Lo sanno bene in Ucraina, dopo un anno di barbarie che, purtroppo, non solo non accenna a concludersi ma pare, anzi, sul punto di rinfocolarsi, in un’escalation senza esclusione di colpi che potrebbe condurre addirittura all’impiego dell’atomica. Lo sanno bene anche in Siria, una terra martoriata, in questi giorni sconvolta da dolore, insieme alla Turchia, per il sisma che ha letteralmente polverizzato un’area di confine fra i due paesi, provocando finora circa ventimila morti. Lo sanno bene ovunque, ma a quanto pare il democratico Occidente liberale sembra aver deciso di non voler fare i conti con se stesso e con le proprie responsabilità storiche. E così, continuiamo ad assistere a un invio di armi senza costrutto e senza altro obiettivo che non sia la distruzione: distruzione di vite, di storie, di persone, distruzione di scuole e di teatri e, ovviamente, distruzione dell’Europa. Perché la vera vittima di tutto questo, oltre all’Ucraina, è l’Unione Europea: disunita, disillusa, sempre più cinica e in mano a signori e signore della guerra che, ahinoi, un conflitto non l’hanno mai visto da vicino, dunque non sanno di cosa parlano e, per questo, staparlano di armi come se stessero giocando con i soldatini o a un videogioco, senza rendersi conto di quanto sia reale la minaccia putiniana di rispondere alla fornitura di armamenti chiesta a gran voce da Zelens’kyj con una reazione che, anche se non dovesse rivelarsi di carattere nucleare, sarebbe comunque atroce.

C’è un bisogno di pace globale, insomma, proprio come vent’anni fa, quando ci ritrovammo nelle piazze di tutto il mondo in centodieci milioni per gridare il nostro no a uno scempio che ha sconvolto il pianeta senza garantire alcun benessere a chicchessia, dato che Saddam è stato spodestato e persino impiccato ma l’Iraq non sta certo meglio rispetto ad allora. È un bisogno crescente e dilagante, che però non trova voce sui mezzi d’informazione, almeno per quanto concerne il cosiddetto mainstream, intento in questi giorni a occuparsi del Festival di Sanremo e per il resto dell’anno a tessere le lodi del governo più a destra e isolazionista della storia repubblicana. L’amara verità è che la pace non ha voce, è proibita, non ha alcuno spazio e chiunque se ne occupi paga un prezzo altissimo. Eppure, proprio perché non se ne può discutere liberamente, proprio perché siamo a un passo dalla catastrofe, proprio perché il tempo a disposizione è poco, o forse addirittura scaduto, proprio perché l’articolo 21 esiste ormai solo nel bel monologo di Benigni sul palco dell’Ariston, proprio perché lo stesso Mattarella, pur apprezzando lo show dell’intellettuale toscano, non sta riuscendo nell’intento di difendere a dovere la Costituzione, proprio perché l’attacco sferrato contro tutti i diritti, da quelli sociali a quelli civili, non è mai stato così intenso e violento, proprio per questo, continueremo a farci sentire nei pochi spazi di libertà che ci vengono concessi. Di fronte a una carneficina come quella che ha squassato Turchia e Siria, ad esempio, avvertiamo il dovere morale di chiedere che le ragioni dei soccorsi e degli aiuti umanitari prevalgano su ogni sanzione, che nessun attore internazionale, organizzazione o privato cittadino si tiri indietro, pur dovendosi confrontare con la crudeltà di due despoti come Erdoğan e Assad, e che il processo di ricostruzione delle zone colpite dal terremoto inizi al più presto. A un anno dall’avvio della mattanza ucraina, per continuare, sventoliamo le nostre bandiere arcobaleno, diamo pieno sostegno alla Marcia notturna da Perugia ad Assisi, organizzata dalla Tavola per la pace, e ci impegniamo a garantire sostegno e supporto a tutte e tutti coloro che dicono basta, ben sapendo che saranno oscurati e che questo loro atto di coraggio li penalizzerà non poco in termini di contratti e di carriera. E per quanto concerne l’Iraq, infine, ricordiamo ai guerrafondai da divano ciò che sostenevano vent’anni fa. Ora si rendono conto di aver sbagliato tutto ma, naturalmente, non lo ammetteranno mai né qualcuno chiederà loro conto del fatto di essersi resi complici di una inutile strage che ha provocato morti, dolore, strazio e attentati. Più di questo non possiamo fare ma, credetemi, ciò che possiamo fare è comunque importante. E non è poco.

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