I lavoratori della mente alle prese con ChatGPT

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Da qualche tempo ha acquisito una forte visibilità il dibattito in merito alle intelligenze artificiali, acceso in particolare dalla comparsa, in novembre, di ChatGPT – software della categoria chatbot, quelle, cioè, in grado di simulare le conversazioni umane e, nel caso di chatGPT, di scrivere testi, articoli inclusi – che ha dimostrato (almeno superficialmente) notevoli abilità e attirato parecchie attenzioni. Se ne è parlato anche su Articolo 21 in un bel pezzo di Renato Parascandolo e nella sua “Intervista esclusiva a chatGPT. Vi spiego come (la) penso”.

Mi terrò, personalmente, alla larga dagli aspetti di etica, filosofia della scienza e simili che riguardano lo sviluppo e l’affermazione delle AI, ossia, delle reti neurali artificiali; aspetti che riguardano assai più le competenze di coloro che si dedicano seriamente a questi argomenti.

Nel contesto di Articolo 21 vorrei, invece, prendere in esame aspetti che riguardano soprattutto l’industria dell’editoria e il lavoro nel settore. Perché proprio in merito al peso che le intelligenze artificiali potranno avere su molte attività lavorative, in particolare di concetto e intellettuali, si fanno le più varie previsioni.

Dando uno sguardo all’industria editoriale, è emersa nei giorni scorsi la curiosa vicenda che riguarda Cnet, noto sito web specialistico, attivo fin dagli anni 90, dedicato in particolare a informazione e recensioni sull’universo della tecnologia e dell’elettronica.

Cnet aveva, dunque, affidato mesi fa, riferiscono fonti giornalistiche – senza dare su questo particolari informazioni ai lettori – ad una Ai la redazione di alcuni articoli. Articoli destinati, secondo osservatori del settore, a generare traffico sul sito attraverso le tecniche di indicizzazione rilevanti per i motori di ricerca, ovviamente, Google in testa. Come rilevato da un altro sito specializzato in tecnologie, Futurism, quegli articoli erano pieni di errori che hanno costretto la redazione a intervenire per apportare, segnalandolo nel testo, molte correzioni. Ma non solo. Gli analisti di Futurism riferiscono che, in alcuni articoli, l’Ai di Cnet avrebbe addirittura plagiato il lavoro di  autori umani di altre testate.

Abbiamo visto, in questi anni, quanto la visibilità in rete, generata da motori di ricerca e social media, abbia orientato le scelte dell’industria editoriale. Dall’altra parte, assistiamo alle crisi che stanno attraversando, per molte e varie ragioni, i giganti dell’economia digitale. A partire da Meta – casa madre di Facebook, Instagram e WhatsApp – colpita, tra l’altro, dai molti dubbi sorti tra gli investitori in merito allo sviluppo di quel “Metaverso” che, per ora, appare più come una vuota suggestione che come la rivoluzione annunciata. Ma anche Amazon, Twitter e, da ultima, Alphabet, holding di controllo di Google, hanno drasticamente ridimensionato la propria forza lavoro. Nel settore che si colloca al confine tra Tech e informazione-comunicazione-commercio, in un breve lasso di tempo, decine di migliaia di lavoratori sono stati licenziati. Dunque, un’industria in crisi, ormai, perenne, come quella editoriale, rischia sempre più di affidare i propri destini al potere degli algoritmi di un’altra industria dai destini imprevedibili come quella dell’economia digitale.

Di certo non ci si può opporre alla necessità di confrontarsi con il progresso tecnologico e di fare i conti con esso. Ma si può decidere come rapportarsi ad esso, scegliendo, per esempio, su quale standard di qualità attestarsi e al di sotto del quale non scendere. Perché, per esempio, per quanto sviluppata sia, ad oggi un’intelligenza artificiale può saper fare una cosa anche molto bene (o molto male come nel caso citato). Ma, comunque, non può sapere perché la fa. Giornalisti ed editori umani, invece, sì. E su questo è necessario ragionare a fondo, per l’editoria e il giornalismo come per tutti noi. Lo strumento, quale che sia, deve rimanere un mezzo, non il fine.

Per dirla con Lucio Senenca “mi chiedi qual è stato il mio progresso? Ho cominciato ad essere amico di me stesso”.


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