“The thin line”, la sottile linea della disperazione delle crisi umanitarie del nostro tempo

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Intersos, per ricordare i suoi 30 anni di vita, incontra i fotografi Alessio Romenzi e Christian Tasso in una mostra fotografica che testimoniare la comune tragicità di crisi umanitarie lontane tra loro

Intersos, tra le più impegnate Organizzazioni non governative nella tutela delle popolazioni colpite da guerre, carestie, calamità, compie 30 anni. Tra le altre iniziative, la Ong apre, al Corner MAXXI di Roma, una mostra fotografica che mette davanti agli occhi di tutti alcune tra le maggiori crisi umanitarie del nostro tempo. La mostra, inaugurata il 27 ottobre e aperta fino al 6 novembre 2022, raccoglie le fotografie di Alessio Romenzi e Christian Tasso. Li abbiamo intervistati per capire cosa vedono i loro occhi in Nigeria, Yemen, Libano, Iraq, Afghanistan, Ucraina.

Alessio Romenzi e Christian Tasso sono due fotografi legati da un principio di collaborazione la cui etica sta nel testimoniare il dolore, la fame, le miserie del mondo. E il “nome d’autore” scompare dalle didascalie della loro mostra per dare più voce al soggetto o all’oggetto fotografato, mettendo in secondo piano chi ha fatto lo scatto. Principio semplice, raro, di sottrazione di sé. I loro sguardi sono quelli che bisognerebbe avere sempre di fronte alla disperazione. “The Thin line”, la sottile linea che unisce luoghi lontani tra loro, è quella della disperazione, che Intersos tenta di contenere da 30 anni a questa parte. Gli occhi dei due fotografi vorrebbero essere i nostri e si incrociano con facce, sventramenti umani, urbani e naturali, fissati nell’attimo dello scatto; immobili nello scorrere del tempo durante il quale popolazioni intere vengono distrutte. Questa mostra è una manifestazione della libertà di esprimere con compassione (patire insieme) il bisogno crescente di “congelare” nell’immagine fotografica le conseguenze di crisi umanitarie mai casuali, mai legate a principi etici, irrimediabilmente durature.

Le 6 zone di crisi testimoniate dalle fotografie di Romenzi e Tasso sono tra le più disastrate del Pianeta:

Nel nord est della Nigeria, Il conflitto armato dura da oltre un decennio. Le persone che necessitano di assistenza umanitaria sono aumentate fino a raggiungere gli 8,7 milioni. Nella seconda metà del 2022 la vita di 370 mila bambini affetti da malnutrizione acuta severa è a rischio. Intersos opera nel Paese dal 2016. Christian Tasso ha visitato il Paese nell’ambito di un progetto sostenuto dall’Unione Europea e incentrato sul sostegno al sistema sanitario e sulla vaccinazione contro il Covid-19.

In Iraq, sebbene siano trascorsi cinque anni da quando il governo ha dichiarato la vittoria sullo Stato islamico, la popolazione sfollata, o tornata nelle proprie aree di origine, è ancora costretta a confrontarsi con bisogni umanitari dovuti alla mancanza di servizi pubblici essenziali, alla distruzione delle abitazioni, a condizioni di estrema marginalizzazione e difficoltà economica. Nell’aprile 2022, Alessio Romenzi e Christian Tasso si sono recati in Iraq, nell’ambito di un progetto finanziato dall’Unione Europea, per raccogliere le storie delle migliaia di sfollati che non possono ancora tornare a casa.Un focus particolare riguarda le donne accusate di essere state affiliate all’ISIS o vicine a membri dell’organizzazione. Donne che subiscono uno stigma che impedisce qualsiasi forma di reinserimento sociale e si estende ai loro figli, pregiudicandone il futuro.

A partire da agosto 2021, la situazione umanitaria dell’Afghanistan ha subito un ulteriore, drammatico, peggioramento, in seguito alla presa del potere da parte dei Talebani: 24,4 milioni di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria nel corso del 2022. Un numero mai raggiunto nei decenni precedenti della storia di questo Paese assediato e abbandonato da sempre. Circa 20 milioni vivono condizioni di grave insicurezza alimentare e il tasso di malnutrizione infantile è tra i più alti al mondo. Intersos opera nel Paese dal 2001.

Lo Yemen, d’altra parte, è stremato da sette anni di guerra. I due terzi della popolazione, oltre 20 milioni di persone, hanno bisogno di aiuto umanitario per sopravvivere. Le conseguenze del conflitto su civili e infrastrutture si sommano ai fenomeni climatici estremi, alluvioni e siccità, e alle frequenti epidemie, aggravando i fattori di vulnerabilità. L’80% della popolazione vive in condizioni di povertà estrema e il 40% non ha cibo sufficiente. Oltre 16 milioni di persone si trovano in una situazione di grave insicurezza alimentare. Intersos opera nel Nord e nel Sud dello Yemen dal 2008 e ha proseguito ininterrottamente le attività fin dall’inizio del conflitto.

La storia recente del Libano è segnata dai quindici anni di guerra civile, conclusa nel 1990 e la guerra con Israele del 2006. Il Libano da anni vive una profonda crisi economica, aggravata dalla cronica carenza dei servizi pubblici essenziali come la scuola e la sanità A febbraio 2019, viene formato il nuovo governo con a capo Saad Hariri, il cui destino sarà segnato da una crisi economica senza precedenti che a partire dall’ottobre 2019 inciderà profondamente sulla vita del Paese. Nell’ agosto 2020, un’esplosione al porto di Beirut devasta la città provocando più di 200 morti, 7.000 feriti e lascia centinaia di migliaia di persone senza casa. Secondo le stime della Banca Mondiale, il 45% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà. La crisi sanitaria per Covid-19 genera pressioni su un sistema caratterizzato da un equilibrio sempre più fragile. Intersos agisce su tutte le criticità.

La guerra in Ucraina ha spinto milioni di persone a lasciare le proprie case per cercare rifugio in aree lontane dai combattimenti. Ad ottobre 2022, secondo i dati di UNHCR e IOM, sono oltre 4 milioni i rifugiati all’estero e oltre 6 milioni gli sfollati interni. Gli operatori di INTERSOS sono intervenuti con team di emergenza nei giorni immediatamente successivi all’inizio del conflitto, prima per assistere le persone in fuga ai confini con Polonia e Moldavia e poi, all’interno del Paese, per garantire protezione umanitaria e accesso alle cure mediche agli sfollati, con particolare attenzione alle persone più vulnerabili.

Intervista ad Alessio Romenzi e Christian Tasso,

Cos’è questa mostra?

Alessio Romenzi: È il tentativo di far capire ai visitatori le condizioni di vita in alcuni tra i Paesi più miserabili del mondo.

Christian Tasso: Questa mostra è prima di tutto un racconto: quello di una Ong come Intersos, che agisce in contesti sociali drammatici, e di due fotografi, che tentano di mostrare la vita di quegli stessi contesti. Questa mostra è frutto di un’unione abbastanza insolita, anche perché è insolito che due fotografi mettano insieme i loro lavori, per altro non firmandoli. È un esperimento, insomma, per aiutarci a capire come due sguardi di uno stesso linguaggio, la fotografia, possano combinarsi tra loro per far nascere qualcosa di nuovo: un nuovo spunto di riflessione su questioni sociali piuttosto pesanti, sempre difficili da raccontare.

Da quanto tempo collaborate con Intersos?

A.R.: La collaborazione con la Ong è cominciata circa un anno fa e, anche se il progetto della mostra non era nelle intenzioni inziali, abbiamo capito che unendo gli sforzi miei e di Christian, sarebbe stato possibile avere una buona qualità e quantità di materiale che potesse raccontare i territori in cui opera Intersos, gli stessi nei quali operiamo noi.

C.R.: Alessio e io non abbiamo mai fatto lavori davvero comuni: è raro che artisti diversi decidano di collaborare in modo davvero “simbiotico”. Ma nel tempo si è consolidato un rapporto lavorativo e di amicizia che ci permette di non competere tra noi e di ottenere un lavoro onesto, concreto, soddisfacente.

Attraverso l’immagine fotografica, qual è la “linea sottile” che unisce le diverse crisi umanitarie viste e fotografate con i vostri occhi?

C.T.: La linea sottile è il titolo di questa mostra, ed è anche il percorso che noi, come fotografi, seguiamo. È la linea dell’etica attraverso la quale raccontare le cose atroci che vediamo. Molto spesso, nei contesti nei quali abbiamo lavorato per questo progetto, abbiamo conosciuto persone che vivono in condizioni quasi insopportabili, a causa di crisi ambientali, climatiche, alimentari; a causa di guerre e combattimenti che perdurano da anni. Sono cose difficili da raccontare a chi non vive quelle realtà. E poi, c’è la sottile linea delle Ong che aiutano le popolazioni più colpite nel passaggio da uno stato di sofferenza e una possibilità di sollievo. Ed è su tutte queste linee sottili che le nostre fotografie vorrebbero camminare.

A.R: A volte, la linea è quella sottile demarcazione tra la vita e la morte, tra la dignità e il non essere più riconosciuti come esseri umani, fino a perdere del tutto la propria natura. In Paesi dove la vita è più difficile, meno scontata della nostra, la linea tra vita e morte è davvero sottilissima.

Avendo diffuso e raccontato molti Rapporti di molte Ong su territori di crisi e guerre, ho constatato che per l’informazione di questa parte del mondo nel quale noi viviamo (l’Occidente, per essere generici) esistono guerre e crisi umanitarie di serie A e di serie B. Molti dei Paesi che abitiamo, contemporaneamente, sono direttamente coinvolti nelle tragedie che fotografate. Le bombe, le mine antipersona, la circolazione irregolare di soldi e armi, le crisi alimentari e sanitarie, le siccità, gli sversamenti di petrolio in Paesi devastati da multinazionali che distruggono quei territori, le loro acque, le loro coltivazioni: tutto questo sembra lontanissimo da noi, sembrano incidenti del destino, o di politiche che non conosciamo e non capiamo. Voi, che andate lì e fermate nell’attimo dello scatto le conseguenze di tutto questo, come riuscite a raccontare le contraddizioni, le distanze tra i popoli, le disuguaglianze?

A.R: Personalmente, credo che la fotografia sia soltanto uno dei modi per fermare, capire ed elaborare quello che accade in luoghi apparentemente lontani da noi. Il nostro lavoro sta nel “testimoniare” le situazioni di crisi, di guerra. Combattiamo con una probabile, quasi certa, forma di assuefazione all’enorme quantità di immagini, di informazioni, di minacce, di allarmi che vediamo coi nostri occhi ogni giorno. L’unica strada che abbiamo per combattere la consuetudine con l’orrore è quella di “congelare” l’orrore nello scatto. Il pregio della fotografia è relativamente semplice e banale: siamo lì e, per quanto è possibile, cerchiamo di metterci sulla stessa linea delle persone che subiscono quello che noi vediamo. Questo, ovviamente, non ci fa diventare profughi, sfollati, mutilati. Ma il nostro impegno è quello di “stare lì”. Con molte difficoltà cerchiamo di immedesimandoci e proviamo ad assaporare, a camminare, tra le storie che vediamo. Che sia con le immagini, che sia con le parole, tutti coloro che tentano di raccontare i luoghi di conflitto si sforzano di farlo in modo sincero, diretto, chiaro. Siamo lì, facciamo vedere cosa accade.

C.T.: Non credo di avere molto da aggiungere. Condividere tempo con le persone in difficoltà, respirare la stessa aria, vivere lo stesso momento, per comprendere i loro stati d’animo e testimoniarli nelle fotografie: facciamo questo.

Con Intersos, avete “scelto” alcuni tra i Paesi di maggiore crisi umanitaria nel mondo: Nigeria, Afghanistan, Iraq, Yemen, Libano, la nostra vicina Ucraina. Senz’altro, queste sono le zone in cui Intersos agisce con maggior forza, ora. Ma in 30 anni di vita la Ong è stata impegnata in 52 Paesi del pianeta; attualmente interviene in 23 zone diverse; nel 2021 ha raggiunto oltre 4 milioni di persone in affanno, con 221 progetti realizzati. Come avete selezionato i luoghi per l’allestimento di questa mostra, con Intersos?

A.R.: Intersos ci ha affidato questo racconto e, piuttosto che spaziare tra i molti luoghi che vedono protagoniste le attività della Ong, abbiamo deciso di comune accordo di concentrarci su Paesi che avevamo già conosciuto e fotografato nelle nostre esperienze precedenti. Conoscere già i territori e provare a raccontarli al meglio è stato il nostro punto di partenza. Penso sia stata la scelta giusta, perché c’era in noi una consapevolezza che abbiamo approfondito, per essere sufficientemente eloquenti nelle fotografie e nella loro comunicazione al pubblico.

Cerchiamo di capire qualcosa di più su voi due, come “testimoni” di ciò che vedete: in passato, c’è stato un momento, un luogo, una serie di fotografie scattate che vi hanno davvero fatto comprendere che questo sarebbe stato il vostro percorso di lavoro e di vita?

C.T.: In generale, il mio obiettivo sin da ragazzo è stato quello di lavorare su tematiche sociali. Per me, la fotografia è sempre stata una strada per testimoniare le disuguaglianze sociali che avvengono nel mondo, per provare a offrire chiavi di lettura, dibattiti, confronti con chi guarda le mie foto e anche con le realtà che operano in luoghi di crisi sociale. Il primo lavoro che feci fu nel Sahara occidentale e quello è stato l’inizio, a conferma di ciò che volevo fare da sempre. Tutti gli artisti, i fotografi per parlare del mio settore, hanno un’ossessione. È difficile spiegare come nasce un’ossessione e come si evolve. Succede che vuoi fare quello e lo fai. E porti avanti la tua ossessione.

A.R.: Per quanto mi riguarda, nel 2009 ho fatto un viaggio a Gerusalemme, invitato da un amico. Non ero ancora un fotografo. Presi un biglietto aereo di andata e ritorno per un mese e tornai dopo due anni. Lì, quindi, ho cominciato a capire che era questo che volevo fare; ho cominciato a seguire i fotografi locali nei loro reportage e quella collocazione geografica mi ha affascinato senza ritorno. Ho capito lì che volevo provare a “camminare nella Storia”, o nei fatti che mi sembravano importanti e che potevo testimoniare tramite le fotografie. Ho proseguito con lavori su Palestina e Israele, poi l’Egitto, altre guerre… C’era la consapevolezza che quello che fotografavamo lo avremmo ritrovato sui libri di Storia. E il privilegio di poter immortalare dei “momenti” della Storia è stata la molla dalla quale sono partito e sulla quale continuo a lavorare.

Avete altri progetti con Intersos?

Rispondono contemporaneamente: Al momento no, ma mai dire mai.

@foto Alessio Romenzi e Christian Tasso


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