Rai. Le mie riflessioni di consigliere dei dipendenti ad Articolo 21, casa della Costituzione

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Nei momenti difficili chiedo asilo nella casa della libertà di informazione, dei diritti civili, dei beni comuni, del rispetto delle minoranze e dei più deboli.
Articolo 21 è la casa della Costituzione e dunque del servizio pubblico RAI che mai come in questi giorni sta subendo furibondi attacchi a causa di una vuota campagna elettorale in carenza di futuro.

Chiedo il permesso di entrare per ripararmi un po’ dalle brutali e sguaiate forme propagandistiche di leader politici che invece di concepire una idea di nuova necessità del servizio pubblico multimediale, come hanno fatto e fanno più civili paese Europei, strappano bollette del canone RAI nei comizi elettorali straparlando di servizi pubblici finanziati solo con la pubblicità quando direttive Europee impongono tetti in materia di affollamento pubblicitario molto vincolanti per RAI.

La gran parte dei partito ormai sono abituati a vedere la nostra Azienda come poltrone lise da occupare, le varie leggi di riforma in vigore nel tempo hanno facilitato il meccanismo e da dentro il palazzo si trova sempre qualcuno che facilita la sagra della spartizione e che sfrutta la italica consuetudine per perpetuare e recintare il potere acquisito o per rendere un po’ più prestigioso il proprio CV passati i tre anni di mandato.

A tutti gli attori coinvolti in questa sorta di commedia che cambia in farsa per assumere i contorni della tragedia, visto che parliamo anche di migliaia di posti di lavoro, fa comodo dimenticare e non comunicare quanto di buono c’è nel servizio pubblico. La lista non è poi così breve.

Il buono che c’è lo dobbiamo mantenere, coltivare e curare perché una volta perduto potrebbe non tornare più. Non si può banalizzare il ruolo di RAI come strumento che se fa comodo ai partiti va bene ma se disturba lo dobbiamo demolire. Questa, invece, è stata l’unica e costante visione che la maggioranza dei partiti hanno avuto fino ad ora mentre la lottizzazione uguale e contraria ad ogni tornata elettorale non risponde alla domanda di fondo: quanto è utile un servizio pubblico multimediale per un paese che ha la presunzione di voler essere democratico e sostenibile? Con quali e quante risorse?

Padre Francesco Occhetta in un convegno sul tema di qualche anno fa ha ben spiegato il concetto di servizio pubblico: il termine servizio- afferma- racchiude un concetto di relazione rispetto ai cittadini, ai deboli e a chi non ha voce. Il termine pubblico invece rimanda al concetto di Bene Comune in una società, un patto di alleanza con la cittadinanza, vincoli sociali, patti tra generazioni e patti sociali, è argine e garanzia della democrazia con la forza di creare una coscienza e coesione sociale se libero di svolgere il proprio compito.

Infine propone la misura illuminata di inserire il servizio pubblico come Diritto Fondamentale da inserire nella Costituzione al fine di dargli pari dignità della scuola o della sanità pubblica.

Chi vuole il bene del Paese, chi vuole la crescita culturale, civile ed etica di un paese vuole un servizio pubblico in grado di aprire le gabbie fisiche e mentali, vuole uno strumento a disposizione di tutte e tutti in grado di fornire un contributo di libertà attraverso scelte consapevoli.

La causa del problema a questo punto è forse nella soluzione: non si vuole davvero rendere libero e indipendente editorialmente e finanziariamente il servizio pubblico proprio perché non fa comodo a molti leader politici (e non solo) la crescita democratica, etica e culturale del Paese, si preferisce lasciare il popolo nelle bolle social dove ancora ampie praterie normative permettono la manipolazione delle coscienze attraverso i big data. Si preferisce da ultimo tenere in tasca un elemento di propaganda elettorale quando la visione futura è appannata dalla gestione del potere.

Nel 2027 scade la concessione che assegna a RAI il ruolo di concessionaria del servizio pubblico, c’è un percorso da fare industriale ed editoriale per arrivare in ottima forma a quella scadenza che da molti è considerata un bivio finale.
Si auspica fortemente che dopo le sparate elettorali si cominci a scrivere il contratto di servizio 23-27 coinvolgendo anche il terzo settore e i cittadini attraverso un dibattito pubblico prodromico al percorso che ci porterà alla scadenza del 2027.

Grazie Articolo 21 per aver ospitato lo sfogo del consigliere RAI eletto dai dipendenti, ora torno là fuori per provare a difendere ancora per due anni scarsi la RAI da chi la vuole sempre più indebolire fino alla sottrazione del ruolo fondamentale di argine democratico e luogo di libertà di pensiero ed espressione.


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