Il femminicidio di Bologna e le falle nell’applicazione del “codice rosso”

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“Femminicidio di Bologna, il pm: fatto il possibile”. “La Ministra ordina ispezione. Ma le vittime ancora non vengono credute”. Sono solo alcuni dei titoli sull’ultimo femminicidio e riassumono molti concetti e nodi ineludibili.
Nel caso specifico si sa che la vittima aveva presentato denuncia contro il suo ex. Ma secondo il procuratore «non emergevano situazioni a rischio di violenza, era la tipica condotta di stalkeraggio molesto”. Il femminicidio di Alessandra Matteuzzi, la bolognese uccisa a martellate dal suo ex compagno, Giovanni Padovani, modello e calciatore marchigiano, solleva rilevanti dubbi sull’effettivita del sistema giustizia in ambito violenza contro le donne. L’uomo è stato fermato per omicidio, mentre la ministra della Giustizia, Marta Cartabia ha chiesto agli uffici dell’ispettorato di “svolgere con urgenza i necessari accertamenti preliminari, formulando, all’esito, valutazioni e proposte”. Un’iniziativa presa a fronte delle perplessità che le ricostruzioni inducono a nutrire sullo svolgimento degli eventi.
Sulla vicenda il Procuratore capo di Bologna, Giuseppe Amato ha dichiarato: “Non si può affatto parlare di malagiustizia, poiché la denuncia è stata raccolta ed è pervenuta nel nostro ufficio a fine luglio e il 1° agosto è stata immediatamente iscritta e subito sono state attivate delle indagini che non potevano concludersi prima del 29 agosto, perché alcune persone da sentire erano in ferie. Noi, quello che potevamo fare, lo abbiamo fatto”. Secondo il PM Amato “non emergevano situazioni a rischio di violenza, ma era la tipica condotta di stalkeraggio molesto”. Ma la giustificazione della Procura non convince. Queste fattispecie di reato hanno specifici segni premonitori che, vista la gravità della condizione femminile in Italia, meritano un’attenzione giudiziaria continua e rapida.
Lo studio epidemiologico di casi analoghi è oramai notorio, e le Procure dovrebbero saperlo meglio di tutti che molteplici femminicidi sono l’epilogo tragico di una vera e propria persecuzione a carico della vittima. Forse le indagini avrebbero dovuto prescindere dell’escussione dei testi in ferie e l’autorità giudiziaria, per una volta almeno, avrebbe dovuto credere alle uniche parole di questa donna disperata. Forse se si abbandonasse il formalismo degli schemi procedurali, invero alquanto distaccati di alcune Procure, non si sarebbe perentoriamente convinti di “aver fatto quello si poteva” . E evidente che non è così, perché una donna è morta dopo un acme persecutorio di alcune settimane che lei aveva denunciato e che a quanto pare non era un ” tipico caso di stalkeraggio molesto”.
E forse allora una maggiore attenzione a quanto Alessandra stava cercando di far presente avrebbe fatto comprendere che le situazioni “a rischio violenza” per una donna non devono presupporre botte e sangue per “convincere” che si sta dicendo la verità e quindi imporre un intervento a tutela. Forse, se l’istanza di protezione fosse stata ascoltata veramente e la vittima subito aiutata, invece di attendere il ” rientro dalle ferie” di chi l’avrebbe resa “credibile” agli occhi dello Stato, Alessandra sarebbe ancora viva.
Secondo i dati del Viminale, dal 1 gennaio al 3 luglio, ci sono stati i 144 omicidi, con 61 vittime donne, di cui 53 uccise in ambito familiare/affettivo; di queste, 33 hanno trovato la morte per mano del partner/ex partner (nel 2022 le vittime di omicidio volontario commesso dal partner/ex partner sono tutte di genere femminile).In Italia una donna ogni 72 ore muore per mano maschile.
Quanti di questi femminicidi potrebbero essere evitati se si credesse subito alle parole di chi denuncia ?


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