Cronaca ad ostacoli /3 Non solo Report, aperta la caccia alle fonti. Castellaneta: l’Ue ci guarda

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Senza l’ausilio e la copertura delle fonti è difficile fare del buon giornalismo ed è letteralmente impossibile realizzare inchieste. Più la storia a narrare è scomoda, più cresce il pressing sulle fonti, che talvolta arriva a livelli inaccettabili. Ne abbiamo parlato con la professoressa Marina Castellaneta.

L’ultimo decreto di perquisizione che ha riguardato un giornalista di Report ha rimesso al centro dell’attenzione (almeno quella dei giornalisti) la fragilità della tutela delle fonti giornalistiche nel nostro Paese. In concreto, ancorché sia intervenuta la revoca, ci siamo trovati di fronte ad una violazione grave della libertà di informazione. Con quali argomentazioni tecniche si può controdedurre in questa vicenda?

“Il decreto adottato dalla Procura della Repubblica di Catania con il quale è stata disposta la perquisizione locale e personale nonché il sequestro di documento di un giornalista di Report, è una misura che è in grado di produrre un “chilling effect” sul lavoro giornalistico e, a mio avviso, è in contrasto con l’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, alla luce dell’interpretazione fornita dalla Corte di Strasburgo. Nel documento della procura si riconosce, d’altra parte, che il “perimetro dei documenti da sequestrare” “non può essere particolarmente ristretto, perché non si conosce, allo stato, l’esatta natura del documento offerto in visione” all’ufficiale interessato, ossia colui al quale il giornalista di Report avrebbe mostrato taluni documenti. Questo vuol dire che il provvedimento comporta una sorta “di pesca a strascico”, con inevitabili effetti negativi sul lavoro del giornalista anche per quanto riguarda il futuro della sua attività e di altri giornalisti investigativi di Report e di altre testate. È evidente, infatti, che la perquisizione dell’abitazione del giornalista, delle pertinenze, dell’autovettura e del luogo di lavoro tenendo conto “della sola sua postazione” provoca inevitabilmente un accesso su larga scala ad altre fonti del giornalista che, in futuro, non potranno più confidare sulla garanzia dell’anonimato. Tra l’altro, la Procura ha previsto che qualora non si trovino i documenti si possa procedere all’esame del contenuto del computer, nonché al sequestro del cellulare e del tablet del giornalista non sottoposto a indagini. La revoca del provvedimento non incide su questa grave compromissione di un principio basilare per la libertà di stampa ossia il diritto alla protezione delle fonti senza le quali un giornalista non potrebbe fornire informazioni scottanti di interesse generale alla collettività. Va ricordato che la protezione delle fonti non è un privilegio concesso al giornalista ma è un elemento essenziale della libertà di stampa e, quindi, della democrazia. Il provvedimento appare contrario alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e, in particolare, all’articolo 10 che assicura la libertà di espressione, inclusa la libertà di stampa”.

Quali sono gli altri casi già affrontati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo?

La Corte europea ha ormai una posizione consolidata sulla tutela dell’anonimato delle fonti dei giornalisti. Con la sentenza del 14 settembre 2010, nel caso Sanoma Uitgevers B.V. c. Paesi Bassi, la Grande Camera, ribadito che la strumentalità della protezione delle fonti garantisce piena effettività al diritto alla libertà di espressione, ha stabilito che detta tutela non può essere limitata dagli Stati, neppure quando sussistano esigenze dell’autorità giudiziaria che potrebbe addirittura arrivare all’individuazione dell’autore di un reato se il giornalista svelasse la fonte o consegnasse un documento utile all’identificazione. Per la Grande Camera la tutela delle fonti deve essere assicurata a livello nazionale per garantire piena ottemperanza alla Convenzione europea non solo nei casi di interventi diretti – è il caso dell’autorità inquirente che interroghi il giornalista per raggiungere l’identificazione della fonte – ma anche indiretti, attraverso l’adozione di provvedimenti come il sequestro di documenti, di supporti informatici e di perquisizioni nel luogo di lavoro o nell’abitazione del giornalista. Anche in questo caso, d’altra parte, l’effetto negativo provocato dall’autorità inquirente non si ripercuote solo sul giornalista, ma sulla testata la cui reputazione potrebbe essere colpita negativamente agli occhi delle future potenziali fonti e sulla collettività, che ha un interesse a ricevere informazioni scottanti che, in via generale, arrivano al giornalista attraverso fonti che richiedono l’anonimato. Emblematico anche il caso Tillack c. Belgio: con la sentenza del 27 novembre 2007, la Corte europea ha precisato che la perquisizione in casa e nell’ufficio di un giornalista che pubblichi notizie su un’inchiesta in corso – con annesso sequestro, disposto dall’autorità giudiziaria belga, di documenti, archivi, telefoni cellulari, computer – è una violazione della libertà di espressione e del diritto di cercare informazioni. Il giornalista aveva pubblicato alcuni articoli riportando documenti confidenziali dell’Ufficio europeo antifrode (Olaf) relativi ad inchieste su funzionari europei: le autorità belghe avevano sequestrato numerosi documenti (i provvedimenti erano stati confermati in sede giurisdizionale). La Corte ha precisato che il segreto sulle fonti «non può essere considerato come un semplice privilegio accordato o ritirato in funzione della liceità o dell’illiceità della fonte, ma un elemento reale del diritto all’informazione, da trattare con la più grande oculatezza». Il ragionamento della Corte europea presuppone il carattere eccezionale degli interventi delle autorità giudiziarie volte a ottenere informazioni sull’identità delle fonti: il “privilegio” accordato ai giornalisti, che si riflette nell’affermazione effettiva del diritto a ricevere informazioni, non può essere diminuito solo perché il giornalista ricorre a stratagemmi per ottenere notizie di interesse collettivo.  A ciò si aggiunga che la Corte ha valutato negativamente anche la portata del sequestro con il quale il giornalista era stato privato di ogni mezzo impedendogli lo svolgimento dell’attività anche in futuro, ritenendo altresì irrilevante un accertamento sulle modalità lecite o illecite di acquisizione delle notizie ai fini della concessione della tutela al giornalista. L’orientamento della Corte europea è ormai consolidato e costituisce una regola speciale per i giornalisti perché per Strasburgo le perquisizioni «massicce» e spettacolari nelle redazioni e nelle abitazioni dei giornalisti che hanno il solo obiettivo di scoprire la loro fonte e, presumibilmente, mirano anche a intimorire gli altri giornalisti, è una minaccia potenziale per l’esercizio della professione, al di là del risultato conseguito.

Ci sono delle situazioni specifiche in cui l’autorità giudiziaria può cercare e individuare le fonti dei giornalisti?

È evidente che ci sono delle esigenze dell’autorità giudiziaria che vanno considerate. Il punto è, però, che prima di adottare un provvedimento che ha un impatto sulla libertà di stampa le autorità giudiziarie competenti devono effettuare un bilanciamento tra gli interessi in gioco e applicare i principi stabiliti dalla Corte europea. In caso contrario, l’Italia potrebbe essere citata da un giornalista a Strasburgo e lo Stato potrebbe essere condannato. Nel bilanciamento, infatti, va considerato che la Corte europea assicura una maggiore protezione delle fonti in quanto essenziale per l’attività giornalista. Inoltre, vorrei precisare che la normativa italiana, per esempio nel caso dell’articolo 200 c.p.p., non assicura un’adeguata protezione delle fonti: la norma, infatti, limita la protezione delle fonti unicamente ai giornalisti professionisti, escludendo i praticanti e i pubblicisti e sancisce il diritto al segreto professionale unicamente sul nome. E’ vero che ci sono state interpretazioni dei giudici nazionali che ne hanno ampliato la portata a tutte le indicazioni che potrebbero portare a identificare una fonte, ma è anche vero che per la piena conformità alla Convenzione occorrerebbe una modifica legislativa, tenendo conto che un orientamento giurisprudenziale potrebbe subire dei cambiamenti e che gli Stati hanno, con riguardo all’art. 10, non solo un obbligo negativo di non ingerenza, ma anche un obbligo positivo, con la conseguenza che sono tenuti ad adottare misure idonee a consentire la realizzazione della libertà di stampa.

 Chi e come protegge i giornalisti nella loro libertà di cercare notizie e quindi di avere fonti?Posso dire che il legislatore italiano mostra di non voler intervenire per assicurare un quadro normativo adeguato in materia di libertà di stampa agli standard internazionali. Abbiamo visto che non è intervenuto malgrado la richiesta della Corte costituzionale circa l’eliminazione del carcere nei casi di diffamazione a mezzo stampa e che il decreto legislativo n. 188 dell’8 novembre 2021 (in vigore dal 14 dicembre 2021) con il quale è stata recepita (male) la direttiva 2016/343 sul rafforzamento della presunzione di innocenza e sul diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali, ha molti aspetti in grado di compromettere il lavoro giornalistico. Detto questo in diverse occasioni, in particolare la Cassazione prende in debita considerazione la Convenzione europea. Questo è stato il caso, proprio in materia di fonti, della seconda sezione penale, con la sentenza n. 48587/11. A un giornalista erano stati sequestrati i supporti telefonici e informatici a seguito della pubblicazione di notizie coperte dal segreto istruttorio. Il giornalista aveva chiesto al giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trani la restituzione degli strumenti indispensabili alla sua attività, ma la sua istanza era stata respinta anche perché il giudice delle indagini preliminari. considerava i beni sottoposti a sequestro probatorio come corpo di reato. La Corte di Cassazione ha disposto la cessazione del provvedimento cautelare e la restituzione degli strumenti sequestrati, anche in ragione del mancato rispetto delle pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo che ha ribadito il diritto del giornalista a proteggere le proprie fonti in quanto presidio essenziale «al fine di consentire alla stampa di giocare il proprio ruolo di “cane da guardia”». Questa sentenza andrebbe considerata con attenzione da tutti gli inquirenti che adottano decreti invasivi a danno dei giornalisti e da coloro che sono poi chiamati a giudicare, proprio per evitare condanne all’Italia da parte della Corte europea.

(Nella foto la manifestazione organizzata in favore di Report dopo le perquisizioni che hanno messo a rischio il segreto professionale sulle fonti

 


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