Aborto. La grave sentenza della Corte Suprema Usa sull’aborto figlia di un trumpismo ancora diffuso   

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Sono nove: sei conservatori (e spesso ultra-conservatori): John G. Roberts, che svolge il ruolo di presidente. Deve la nomina all’ex presidente George W. Bush (29 settembre 2005); A Bush si deve anche la nomina di Samuel Alito (31 gennaio 2006). Clarence Thomas lo ha nominato il padre di Bush, George Herbert Walker (il 23 ottobre 1991); gli altri tre devono invece la nomina all’ex presidente Donald Trump: Neil Gorsuch (7 aprile 2017), Brett Kavanaugh (6 ottobre 2018), Amy Connet Barrett (27 ottobre 2020). Tre i liberal: Stephen Breyen, nominato il 3 agosto 1994 da Bill Clinton; Sonia Sotomayor (nominata l’8 agosto 2009) e Elena Kagan (nominata il 7 agosto 2010), entrambe volute dall’ex presidente Barack Obama.

Sono i primi sei (i conservatori ultra conservatori, in questo caso) che hanno affossato, contro il parere dei tre liberal, il diritto di interrompere la gravidanza negli Stati Uniti.

Questa veloce premessa per spiegare come si sia giunti all’attuale sentenza che cancella negli Stati Uniti il faticosamente conquistato diritto di interrompere la gravidanza, e demanda la competenza ai singoli stati dell’Unione.

Una decisione attesa: le indiscrezioni filtrate nelle settimane scorse lasciavano presagire che la maggioranza ultra-conservatrice della Corte Suprema avrebbe abolito la precedente sentenza “Roe vs Wade” del 1973, con la quale si consentiva alle donne di interrompere la maternità.

La Corte Suprema conferisce ai singoli Stati il potere di stabilire le proprie leggi sull’aborto; già se ne vedono i primi risultati negativi: il Missouri, appena depositata la sentenza della Corte Suprema, si affretta a dichiarare l’aborto fuorilegge. La “Washington Post” stima che siano già tredici gli Stati che hanno già predisposto leggi per proibire l’aborto o limitarne fortemente la pratica.

Il presidente della Corte Roberts ha incaricato il collega Alito di redigere la sentenza che cassa la precedente decisione “Roe vs Wade” (e un’altra decisione della Corte Suprema del 1992 che difende il diritto di abortire, il caso “Planned Parenthood v. Casey”).

Riteniamo che Roe e Casey debbano essere annullati”, sostiene Alito. “La Costituzione non fa alcun riferimento all’aborto e nessun diritto del genere è implicitamente protetto da alcuna disposizione costituzionale…È tempo di seguire la Costituzione e portare la questione dell’aborto ai rappresentanti eletti del popolo”.

Un altro giudice ultra conservatore, Thomas, pone una specie di “appendice”: chiede ai suoi colleghi di eliminare anche le precedenti sentenze emesse sui contraccettivi, sui matrimoni gay e sui diritti LGBTQ.

Nel loro motivato e congiunto dissenso, i tre magistrati liberali sostengono che la decisione della maggioranza avrà ripercussioni ben più ampie sulla società americana: “Stabilisce che dal momento stesso della fecondazione, una donna non ha più alcun diritto di decidere sulla sua gravidanza…Con questa decisione ora lo Stato può costringerla a portare a termine una maternità, anche a costi personali e familiari più elevati”.

Questi i fatti nella loro essenza. Si può aggiungere che gli umori ultra-conservatori che dominano la Corte Suprema sono condivisi da un giudice nero, Thomas; da uno di chiara origine italiana, Alito; e da una donna, Amy Connet Barrett. Lo si dice solo per evitare superficiali valutazioni. La società statunitense è molto più contraddittoria e composita di quanto un osservatore esterno può immaginare.

Senza dubbio la sentenza della Corte Suprema segna una grande vittoria per gli ultra-conservatori e i sostenitori antiabortisti; anche se i sondaggi e le rilevazioni demoscopiche (per quello che valgono; spesso si sono rivelate fallaci), rivelano che la maggior parte degli americani sostiene il diritto delle donne a decidere sulla loro maternità.

Una sentenza che la speaker della Camera, la democratica Nancy Pelosi, definisce “crudele, scandalosa”, e ricorda che alle elezioni di novembre ci sono in gioco i diritti delle donne: “L’aborto è stato un diritto per 50 anni”: la decisione della Corte Suprema è un insulto per le donne”. L’ex presidente Obama accusa la Corte Suprema di aver “attaccato le libertà fondamentali di milioni di americani”.

A prescindere dalle reazioni, che naturalmente ci si augura siano energiche e incisive, la sentenza della Corte Suprema è una “spia”, un sintomo; la conferma quanto la società americana sia percorsa da tensioni e umori contraddittori, caratterizzati da aspetti di sconcertante miopia: da una parte in nome “della vita” la sentenza della Corte Suprema; dall’altra, a fronte delle continue stragi ad opera di esaltati suprematisti ci si oppone anche a minime limitazioni della circolazione delle armi. Si vieta l’interruzione della gravidanza, al tempo stesso si sancisce la legittimità e la costituzionalità della pena di morte… Piaccia o no, gli Stati Uniti sono ancora spaccati in due, e una quantità di americani presta ancora fiducia in Trump, uno dei peggiori presidenti che gli Stati Uniti abbiano avuto; è convinta che Joe Biden gli abbia rubato l’elezione, e approva l’assalto a Capitol Hill.

E’ amaro doverlo riconoscere, ma ancora non è stato individuato un antidoto capace di neutralizzare il veleno del trumpismo, molto più diffuso e resistente di quanto non si creda. Più che mai appropriata l’immagine della Statua della Libertà che si copre il viso per la vergogna.

 

Ps.: qualcuno potrebbe obiettare: bravo a fare il grillo parlante per quello che accade negli Stati Uniti. E in Italia, invece come vanno le cose? Nonostante la 194, ancora il diritto di poter interrompere la gravidanza, in tanti ospedali, in molte città, in intere regioni, non viene garantito, e le donne devono sottoporsi ad avvilenti “trasferte” lontane da casa. E’ un discorso che riguarda tutti noi, da fare: realtà che continuare a ignorare significa diventarne complici.


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