Aborto. La sentenza è un passo indietro nel campo dei diritti umani, che purtroppo non riguarda solo gli Usa

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La Corte Suprema degli Stati Uniti ha annullato la sentenza Roe v. Wade del 1973 che sanciva il diritto delle donne di abortire. Sei i voti a favore, tre i contrari. In pratica, il destino delle donne statunitensi è stato deciso dai tre giudici nominati da Donald Trump, che ha prontamente approvato il pronunciamento con una delle sue bislacche affermazioni: “La decisione vuol dire seguire la Costituzione e restituire i diritti”. Tecnicamente, la decisione della Corte Suprema riguardava il caso “Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization”: i giudici hanno confermato la legge del Mississippi che vieta l’aborto dopo 15 settimane di gravidanza. Così, i diritti nel Paese più avanzato del mondo, tornano indietro di mezzo secolo, quando la metà degli Stati considerava l’interruzione di gravidanza come un reato. In tema di diritti, nulla è per sempre. Per questo oggi è importante che tutte le persone, donne e uomini, si uniscano per protestare contro questa assurda decisione.
Perché non sarà questa sentenza a impedire alle donne degli Stati Uniti di abortire. Andranno in Messico, in Canada, in Europa o in una clinica clandestina, come quelle che esistevano quando abortire non era un diritto. Le donne meno ricche rischieranno probabilmente la vita. Per una donna l’aborto è già di per sé una scelta complessa, un momento difficile e non sempre la decisione è immediata. Ora avranno anche l’oppressione della legge che non le lascia libere di decidere sul proprio corpo.
È un passo indietro nel campo dei diritti umani che purtroppo non riguarda solo gli Stati Uniti. All’interno dell’Unione Europea, il caso della Polonia ha fatto indignare quasi tutti. Da gennaio 2021, il governo di Varsavia ha vietato l’aborto in quasi tutti i casi, dopo una sentenza della Corte costituzionale che proibiva l’interruzione di gravidanza anche in caso di gravi malformazioni del feto. Oggi in Polonia, Paese membro dell’UE, si può abortire soltanto se la madre rischia la vita o ha subito uno stupro o un incesto, circostanza che deve essere dimostrata dalla sentenza di un giudice. Di fatto, quindi, è praticamente impossibile, come dimostrano anche i casi delle molte donne ucraine violentate durante il conflitto e fuggite in Polonia dove, però, non possono interrompere una gravidanza che acuisce il trauma psicologico della violenza subita, oltre all’impossibilità, in circostanze così precarie, di prendersi cura di un figlio.
Anche in Polonia, però, le donne non hanno smesso di abortire: la stima delle interruzioni di gravidanza clandestine, secondo alcune ong, è tra i 100 e i 200mila casi all’anno.
L’Ungheria, che su molte questioni viaggia spesso in sintonia con la Polonia, ha reso l’accesso all’aborto molto più difficile. Anche in questo caso, le donne che possono permettersele economicamente vanno all’estero, le altre si rivolgono a strutture clandestine.
A Malta, l’aborto è vietato da sempre, in ogni caso. I medici rischiano quattro anni di carcere. È di queste ore il caso di una turista statunitense alla sedicesima settimana di gravidanza a cui si sono rotte le acque e, nonostante rischiasse la vita e non ci fosse più alcuna possibilità di salvare il bambino, ha dovuto farsi trasferire in Spagna per un aborto di emergenza. E quella donna e il suo compagno volevano avere un figlio. Queste assurdità medievali non devono più accadere in Europa.
Anche in Italia la situazione non è delle più rosee e si continua a mettere in discussione la legge sull’aborto del 1978, la 194. Ad abrogare quella legge ci hanno provato varie volte, finora senza risultato. Questo diritto è stato però indebolito con una massiccia presenza di obiettori di coscienza. In alcune regioni è diventato impossibile riuscire ad abortire per mancanza di medici che lo praticano. E anche in questo caso è necessario spostarsi, rendendo ancora più difficile e dolorosa una decisione che già di per sé, nella maggior parte dei casi, non viene presa a cuor leggero. Dobbiamo prestare quindi la massima attenzione a tutelare questo diritto, evitando che decisioni medievali prese oltreoceano possano essere di ispirazione anche in Italia.

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