Le ispiratrici notturne di Mia Kankimaki

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Mia Kankimaki, Le donne a cui penso di notte, Neri Pozza 2021. Non appena si chiude l’ultima pagina si ha subito voglia di ricominciare a spulciare il corposo libro per non perdere il nome e il ricordo di nessuna delle  numerose donne straordinarie a cui l’autrice dedica più o meno spazio e dalla cui vicenda trae consigli di vita a volte buffi, a volte provocatori, a volte preziosi. Mia Kankimaki è una scrittrice finlandese, quarantenne che dopo aver scritto un primo libro su Sei Shonagon, dama di corte e scrittrice giapponese, decide di dare una svolta definitiva alla sua vita: lascia il lavoro, vende la casa e decide di dedicarsi completamente ai viaggi e alla scrittura, nonostante dei limiti economici, sulle tracce delle donne a cui pensa di notte. “Le mie ispiratrici – scrive –  sono donne la cui vita non ha calcato la via della tradizione. Hanno abbattuto certe barriere e fatto cose che non ci si aspettava da loro. Molte sono artiste e scrittrici, fanno un lavoro solitario e introspettivo. Tante hanno viaggiato e cambiato paese e cultura, e hanno rivoluzionato la loro vita anche in tarda età … ma tutte hanno seguito la propria passione e fatto le loro scelte infischiandosene delle aspettative del loro tempo”. Kankimaki si convince che per capire queste donne e scriverne non è sufficiente ricorrere alle fonti letterarie, ma deve realmente partire sulle loro tracce. Decide così di affrontare un non facile viaggio in Africa per raggiungere i luoghi di Karen Blixen, la scrittrice cui è dedicata la prima parte del testo. Nel suo libro Kankimaki realizza una commistione di generi letterari, mescolando il libro di viaggio, alla biografia delle sue ispiratrici, alla riflessione sul suo mestiere di scrittrice, rendendo il testo curioso e stimolante. La sua ammirazione per Karen Blixen nasce dalla lettura del romanzo “La mia Africa”, ma poi incrocia la letture delle  opere di Blixen con lo studio delle lettere e di varie biografie e scoprirà che l’immagine di sé che la scrittrice offre ne “La mia Africa” é forse mitizzata, mentre la sua personalità in realtà è più sfaccettata. A volte Karen era artificiosa e teatrale, aveva forse atteggiamenti coloniali, una mentalità criticabile verso la caccia e spesso mentiva. Ma considerando tutte le vicende e le difficoltà che dovette affrontare  la Karen saggia e coraggiosa che emerge dal romanzo è quella alle cui qualità  lei stessa aspirava e, aggiunge Kankimaki, è “L’io ideale di tutte noi, la donna che vorremmo essere”. Karen dovette infine abbandonare l’Africa quando la sua piantagione fallì e quarantenne, tornata in Danimarca, dovette inventarsi una nuova vita, quella di scrittrice e forse questo è stato il suo più grande atto di coraggio. Kankimaki, avendo infine messo insieme un’immagine più completa e obiettiva della sua ispiratrice,  conclude rivolgendosi a Blixen “Sai cosa penso Karen? Che forse non eri quella che credevo. Forse non eri la donna tremendamente coraggiosa, forte, indipendente, saggia e buona che mi ero immaginata. Eri più umana, più debole, più malata, più depressa, più vulnerabile dal punto di vista sentimentale, più egoista, più disperata, più possessiva, più accanita cacciatrice, più vanesia. Ma non importa, Karen, è così che siamo fatte”.

Tornata in Finlandia Mia Kankimaki scova un giorno tra i suoi libri un grande volume illustrato che aveva ricevuto in dono che parla di viaggiatrici storiche e si rivela una formidabile fonte di ispirazione. Nella seconda, affascinante e curiosa parte del libro ci fa conoscere Isabella Bird, Ida Pfeifer, Mery Kinsley, Alessandra David- Neel, Nelly Bly che costituiscono, tra Ottocento e primi del Novecento “un manipolo di normalissime donne di mezz’età, che dopo aver ottemperato ai propri doveri familiari, realizzano il loro sogno e partono per un viaggio intorno al mondo sfidando i codici di comportamento abbigliate con corsetti e gonne lunghe”. Sono donne coraggiose, che realizzano i propri obiettivi con intelligenza, a volte astuzia, sanno senza alcuna esperienza diventare imprenditrici di se stesse, superando le difficoltà economiche e finanziando i viaggi con i proventi dei libri che scrivono sulle loro avventure. Sempre alla ricerca di materiale di studio e di ispirazione  Kankimaki si sposta a Kyoto e poi a Firenze continuando a raccontarci le sue vicende di viaggiatrice e i suoi tormenti di scrittrice. A Firenze e a Roma scoprirà l’arte italiana e si muoverà sulle tracce di tre artiste: Sofonisba Anguissola, Lavinia Fontana, Artemisia Gentileschi. Se quest’ultima, dagli anni Settanta in poi è stata oggetto di studi, mostre e valorizzazione, meno conosciute sono le altre due. Tutte e tre donne di forte ingegno e personalità, per le quali, in modo diverso, fu importante la figura paterna. Col loro lavoro mantennero economicamente famiglie numerose e complicate. Sofonisba e Atemisia viaggiarono, Sofonisba fu al servizio del re di Spagna e Artemisia lavorò alla corte d’Inghilterra, mentre Lavinia riuscì a conciliare un’intensa attività pittorica con undici gravidanze. L’ultima originale artista di cui ci parla Kanimaki è la giapponese Yayoi Kusama. E’ nata nel 1929 da una famiglia abbiente e rispettata; ostacolata dapprima dalla madre, a diciannove anni riesce a compiere studi artistici. Si imbatte in un libro d’arte della pittrice americana Georgia O’Keeffe, artista di spicco del Modernismo americano, che vive in un eremitaggio nel deserto del New Messico: O’Keeffe diventa la sua ispiratrice. Le scrive e le manda alcune sue opere, Georgia la incoraggia e si offre di inviare i suoi lavori a un esperto per venderli. Nel 1957 Yayoi parte per l’America e quando sta in difficoltà Georgia le offrirà aiuto, ma Yoyoi farà da sola.  Dopo dieci anni riesce a farsi un nome, continua a lavorare, ma intanto si è lanciata nel movimento hippie, che proclama il libero sesso e si oppone alla guerra. Yayoi dimostra anche un grande senso degli affari fondando la Kusama Enterprise per gestire i suoi progetti e un Kusama Fashion Institute quando decide di disegnare indumenti bucati in punti strategici e aprirà anche una boutique sulla Sesta strada. Nel 2000 ha collaborato con Louis Vitton, Issey Miyake e con la Coca Cola. Tornata in Giappone nel 1973 le sue condizioni di salute peggiorano a causa di allucinazioni, attacchi di panico e infine una grave depressione. Da allora vive nel reparto aperto di un ospedale psichiatrico privato specializzato in neuropsicologia e terapia dell’arte. Ha fatto costruire un suo studio vicino all’ospedale dove continua a lavorare e di sera torna in ospedale: le sue opere sono quotate anche  due milioni di euro l’una. Kankimaki sottolinea l’importanza del fatto che Yayoi ha saputo chiedere aiuto a una sua ispiratrice e che Georgia O’ Keeffe le ha teso la mano. Inoltre Yayoi non si è mai fatta fermare dalle sue debolezze e dalle sue malattie, ma è riuscita a dominarle e “le ha usate come fonte inesauribile della sua arte”.

Kankimaki, oltre ai viaggi sulle tracce delle sue ispiratrici, ci racconta altri spostamenti come quello in Normandia o  i soggiorni in residenze per artisti  come quello a Mazzano, vicino Roma o in un isolato castello in Germania. In questi luoghi combatte la sua personale battaglia con i numerosi appunti da riordinare, con le difficoltà della scrittura, i momenti di scoraggiamento, il difficile equilibrio che si deve trovare mentre si scrive tra bisogno di solitudine e bisogno degli altri. Nel castello in Germania, che le richiama La Montagna incantata, giunge al termine del suo lungo lavoro, avendo raccolto non solo i preziosi consigli che le hanno suggerito le sue ispiratrici e che ci ha dispensato lungo il testo, ma anche la convinzione di aver capito come vivono gli scrittori e gli artisti e dunque come può vivere anche lei. “… così si fa questo lavoro, ognuno a modo suo, ognuno alle prese con i suoi demoni, ognuno nel suo studio, nel suo angolo di mondo, nella sua fetta di storia. E ciononostante in un certo qual modo insieme: il garbuglio di tutte le lettere, le pennellate, le voci giuste e sbagliate, le ispirazioni reciproche, le visioni utopistiche, i risvolti profondi rivelati da un’idea improvvisa, le decine di taccuini ordinati o disordinati, il brancolare nel buio, i passi falsi e le notti di disperazione passate in bianco si muovono inesorabilmente al di sopra di noi come una nuvola, o un sogno, o una massa di blocchi di ghiaccio che si schianta sulla riva, spingendo incontrovertibilmente in avanti il lavoro di ognuno”.


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