Perché oggi non sarò in piazza

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Correva l’anno 2012: quell’anno Paolo Dall’Oglio fu espulso dal regime siriano di Bashar al-Assad. Da indiscutibile pacifista e militante della “nonviolenza” chiedeva l’organizzazione di una forza internazionale di interposizione disarmata tra l’esercito e i manifestanti siriani. Nessuno aderì, nessuno lo ascoltò. Così nel 2013, quando papa Benedetto XVI si pronunciò contro la vendita di armi ai siriani che si erano organizzati in gruppi di resistenza al regime, lui twittò: “ concordo. Diamogliele gratis”. Per me quel percorso è il percorso di oggi. Anche perché sono figlio di un partigiano combattente ai tempi della Seconda Guerra Mondiale, so che mio padre aveva un fucile. E so che arrestato dai repubblichini fu da loro consegnato ai nazisti che lo processarono in Germania condannandolo a morte, condanna poi mutata in lavori forzati a vita. Ho parlato a lungo di quel fucile con mio padre, come dei rastrellamenti. So che Paolo Cristiano combatteva in Veneto, ma non era veneto. Era napoletano. Attraversò la linea Gotica di sua scelta e intenzione per unirsi ai combattenti della brigata “Giustizia e Libertà”. Mi ha sempre detto che “doveva farlo, per la libertà”.
In contesti diversi è quello che fecero i combattenti vietnamiti contro l’imperialismo americano, che se dobbiamo raffigurarci ci raffiguriamo proprio come ha scritto Alexandr Kharaluzhny: “ Quando si parla della guerra del Vietnam e, in particolare, di chi ha difeso questo Paese dall’aggressione statunitense, l’immaginazione disegna subito un combattente con un caratteristico copricapo di paglia di riso, stringendo saldamente tra le mani callose uno dei primi esemplari di fucile d’assalto Kalashnikov”. Quel fucile è comparso persino su alcune bandiere, come quella del Mozambico, a rappresentare la difesa della libertà. Miti? Mitologie? Altri tempi? Forse.
Per me la lezione di Paolo Dall’Oglio è di assoluta e drammatica attualità. Il suo libro si intitola “Collera e luce”: forse a differenza di lui la mia collera ha dopo di sé meno luce perché a differenza di lui non sono un credente. Ma non è che non credo, non so. E nel dubbio cerco cerco anch’io la luce, quella che la sua solitudine in quei giorni drammatici mi dice di non temere di sentirmi solo nel dire che oggi, qui, adesso, negare un fucile a chi viene cacciato di casa non è il mio servizio alla pace, anche se non può bastarmi dirgli “ vai a combattere”.


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